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La sparatoria allo Sperone e il debito che sa di racket

Per gli investigatori vittima e ferito pretendevano il pizzo

Palermo. Omicidio allo Sperone,vittima Giancarlo Romano,le indagini della Polizia e i rilievi della Scientifica...Ph.Alessandro Fucarini.

A che titolo l’agenzia scommesse gestita dalla famiglia Mira doveva dare quei soldi ad Alessio Caruso? Questo è sicuramente l’interrogativo sul quale gli inquirenti stanno provando a fare chiarezza e che nemmeno gli interrogatori di garanzia davanti al Gip di venerdì scorso sono riusciti a dipanare. Sotto questo aspetto la Procura di Palermo vuole andare fino in fondo perché è convinta che il motivo della pretesa di questi soldi potrebbe essere la chiave di volta per svelare i reali retroscena dietro l’omicidio dello Sperone che si è consumato lunedì scorso, in cui ha perso la vita Giancarlo Romano, 37 anni, che ha spalleggiato nella sparatoria Caruso, 29 anni, ancora in gravi condizioni all’ospedale Buccheri La Ferla dopo il delicato intervento chirurgico a cui è stato sottoposto.

Non convincono le dichiarazioni fatte da Camillo Mira, 55 anni, in cella accusato dell’omicidio di Romano, e del figlio Pietro Mira, su cui non c’è al momento alcuna misura cautelare. Mentre l’altro figlio, Antonio, di 20 anni, è in carcere per il tentato omicidio di Caruso: lui però ha deciso di fare scena muta davanti al Gip. Quindi la sua versione dei fatti al momento non si conosce.

Camillo e Pietro Mira sarebbero stati vaghi con gli inquirenti sui motivi di questo debito. Non hanno mai chiarito questi soldi perché realmente erano pretesi da Caruso, anche lui indagato per aver sparato. Gli investigatori restano convinti che si trattasse di una sorta di pizzo imposto da Caruso e Romano ai Mira, che gestivano un centro scommesse abusivo in via XXVII Maggio. Le due sparatorie, una dietro l’altra, sarebbero nate proprio dalla possibilità di una ribellione dei Mira, che poi ha innescato la catena di fuoco di quel lungo pomeriggio di folle violenza dello scorso 26 febbraio. Dunque, si continua a pensare che Camillo, Pietro e Antonio Mira vogliano nascondere l’esistenza di questa imposizione del racket.

Mentre hanno ricostruito i fatti sulle pistolettate, su questa mancata consegna dei soldi sono sempre stati vaghi: «Mi sono rifiutato di consegnare il denaro, avevo detto che avrei saldato dopo perché in quel momento non avevo soldi in cassa - ha detto Pietro Mira -. Sapevo che chi era venuto in agenzia era mandato da Alessio Caruso». Al diniego, infatti, poco dopo, si è ripresentato in agenzia Caruso in persona, al quale Mira ha ribadito la stessa cosa. E per tutta risposta gli è stato rifilato un pugno in faccia con un tirapugni che lo ha fatto sanguinare copiosamente.

Su questa consegna dei soldi poliziotti e Gip hanno insistito per saperne di più, ma qui le risposte sono state vaghe e non circostanziate. Poi, sulla sparatoria letale allo Sperone, davanti casa sua, Pietro Mira conferma quel che era già trapelato nei giorni scorsi: «Ho sentito gli spari, non sono uscito ma mi è stato riferito che erano in sei su tre motori». Tra loro per l’appunto Romano e Caruso, entrambi colti di sorpresa alle spalle da Camillo e Antonio Mira, che hanno utilizzato un’uscita secondaria della casa: il primo è morto, l’altro è rimasto gravemente ferito ed ancora è in prognosi riservata. Camillo Mira ha sostenuto la tesi che avrebbe sparato semplicemente per difendersi. Avrebbe visto Romano e Caruso addirittura arrampicarsi sul prospetto di casa per penetrare all’interno con l’intento di ucciderli, in risposta alla sparatoria che padre e figlio avevano organizzato in corso dei Mille contro il ventinovenne per vendicarsi del pugno rifilato all'agenzia scommesse poco prima. «O sparavo o morivo, non avevo altra scelta», ha ripetuto ai poliziotti prima e poi anche al Gip Camillo Mira. Intanto ,la Procura ha fissato per il prossimo 6 marzo l'autopsia sul corpo di Giancarlo Romano.

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