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Palermo e la rivoluzione "dolce" del City Group: ecco la filosofia delle acquisizioni

Lo sceicco Mansour proprietario del City Football Group

L’euforia che si respira nella Palermo del calcio è ai massimi livelli. Un sentimento che risveglia dolcissimi ricordi legati a tanti anni fa: è indubbio che la cavalcata compiuta da mister Baldini e i suoi ragazzi ha risvegliato un entusiasmo sopito da tempo e dato una boccata d’ossigeno di cui la città necessitava dopo aver subito l’umiliazione del fallimento ed essere ripartita, a testa alta, dalla serie D.

Certamente, però, il closing, ormai a un passo, recita un ruolo importante, quasi da protagonista, e soffia forte su un tizzone già rovente: l’arrivo del City Football Group, però, sta generando un’attesa legata più al Palermo-società che al Palermo-squadra, in vista di una rivoluzione che potrebbe riguardare l’intero sistema calcio Italia.

Una rivoluzione che, però, sarà connotata da tratti più dolci e graduali rispetto a ciò che ci si aspetta, come dimostra il modus operandi del gruppo in relazione alle già acquisite società che compongono il panorama del Cfg, come ha ben analizzato la rivista online Undici.

Per avere un’idea più chiara, basta guardare alle operazioni di mercato del Girona e del Troyes, ovvero delle due squadre che, come il Palermo, vivevano e vivono a cavallo tra la prima e la seconda divisione dei rispettivi campionati - spagnolo e francese: i giocatori più riconoscibili (Pedro Porro, 22enne difensore; Adil Rami, 36 anni difensore e Pablo Maffeo, 24enne centrocampista)  transitati nelle ultime stagioni nelle due squadre, non sono nomi che scaldano il cuore e che cambiano radicalmente dimensione e storia delle società. Eppure, le due squadre hanno raggiunto obiettivi importanti: la compagine spagnola - acquistata dal gruppo nel 2017 - ha da poco conquistato un posto nella Liga; i francesi, invece, acquistati poco meno di due anni fa, hanno immediatamente raggiunto la Ligue1 e, quest’anno, conquistato una comoda salvezza.

Il Cfg non demolisce i club che acquista, piuttosto li ristruttura dall’interno, importando il proprio know-how e avviando una trasformazione del pensiero - di stampo manageriale e culturale - prima ancora che tecnica e di mercato; in questo senso sono rivelatrici le parole una volta da Ferran Soriano, l’amministratore delegato della holding: «Il calcio è il nostro business, è ciò che facciamo, quindi la nostra rete di club permette di crescere dal punto di vista tecnico, di sviluppare giocatori di alto livello che permettono al gruppo di essere finanziariamente sostenibile».

In questo senso arrivano le riconferme del direttore sportivo Renzo Castagnini e dell’allenatore Silvio Baldini, consapevoli però che la squadra e la società dovranno acquisire un nuovo metodo.

Certo, il gruppo nel suo storico annota anche rivoluzioni più profonde e risultati più consistenti, pensiamo ai campionati vinti con le altre società satellite del Manchester City, quali il Melbourne City (Australia), la Mls Cup con il New York City e la grande cavalcata dalla terza divisione fino alla conquista di un posto nella Copa libertadores del Montevideo City Torque - squadra uruguaiana.

Successi che, però, sono arrivati in contesti in cui per primeggiare erigere una solida struttura finanziaria e societaria - si pensi al caso del Montevideo Torque che ha acquistato il primo bus per le trasferte grazie al gruppo Anglo-arabo-ispanico.

Il Palermo, in questo senso, parte da una condizione diversa (per fortuna) e più simile a Girona e Troyes, dalle quali però risalta per storia e prospettive: basti pensare che i rosanero rappresentano una città di 600 mila, e oltre, abitanti, possiede un’enorme appeal estero grazie agli immigrati siciliani e ha partecipato con una certa continuità, nella storia recente, alle coppe europee con discreti risultati.
Questo potrebbe cambiare l’approccio alla nuova avventura?

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