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«Non avevo scelta, o morivo oppure sparavo per difendermi»: Camillo Mira ai giudici spiega perché ha ucciso

Accusato del delitto del quartiere Sperone di Palermo, ha detto di avere agito per salvare se stesso. Il figlio Antonio Mira si sarebbe invece avvalso della facoltà di non rispondere

«Non avevo scelta, o morivo oppure sparavo per difendermi». Sono la parole di Camillo Mira, uno dei fermati per l'omicidio allo Sperone di Giancarlo Romano, 37 anni. Una sparatoria in cui è rimasto gravemente ferito anche il compare di Romano, con cui era in compagnia in quel momento, Alessio Salvo Caruso, ancora in prognosi riservata all'ospedale Buccheri La Ferla di Palermo.

Secondo quanto trapela dalle parole che Mira avrebbe riferito ai poliziotti poco dopo il suo arresto, sarebbe stato «costretto a sparare» per difendersi. Agli agenti ha riferito che era nell'androne di casa sua, in via XXVII Maggio, quando avrebbe visto che le due vittime della sparatoria si stavano avventando contro di lui a suon di colpi di pistola. Una tesi ribadita anche oggi davanti al gip durante l'interrogatorio di garanzia.

Interrogato anche il figlio Antonio Mira che si sarebbe invece avvalso della facoltà di non rispondere.

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