Ormai è tutti contro tutti. Lo scaricabarile tra i protagonisti della strage di Altavilla Milicia è cominciato senza esclusione di colpi. Rinchiusi tutti e tre al carcere di Pagliarelli, Sabrina Fina e Massimo Carandente sono in un’altra sezione rispetto a quella di Giovanni Barreca, ma hanno puntato il dito contro di lui e la figlia diciassettenne. Hanno raccontato che sarebbero stati loro due a uccidere Antonella Salamone e i figli Kevin di 16 anni e Emmanuel di 5 anni nella villetta di Altavilla Milicia. Intanto Giovanni Barreca, muratore e imbianchino che si era consegnato in stato confusionale facendo riferimenti a strane presenze e al diavolo, sembra non avere ancora superato la crisi mistica.
«Il mio cliente riferisce di avere avuto il dovere di debellare il demonio. Non si rende neppure conto di stare in carcere. Ha come quadro costante davanti ai suoi occhi l’obiettivo raggiunto: avere sconfitto il diavolo. Ho difficoltà a pensare a una strategia difensiva. Non mi trovo mai davanti ad una persona lucida», ha detto il suo legale, Giancarlo Barracato che sta valutando attentamente l’ipotesi di chiedere una perizia psichiatrica.
Durante gli incontri l’uomo avrebbe capito di aver perso la moglie e i figli ma la colpa di tutto ciò l’attribuirebbe a Satana e non alle sue azioni. «È consapevole che la moglie non ce l’ha fatta ed è stata vinta dal diavolo così come i suoi figli, così va ripetendo, ha aggiunto l’avvocato. In questa sua azione dice che è stato aiutato dai due coniugi». Il disperato tentativo della coppia, accusata di avere partecipato all’esorcismo, è di limitare le proprie responsabilità e per questo non hanno esitato a tirare in ballo anche la figlia di Barreca. Ed in effetti, con il passare dei giorni, le indagini stanno svelando particolari inediti sul ruolo della minore che ha confessato di aver partecipato alle torture e ai delitti della mamma e dei fratelli. La sua posizione, peraltro già abbastanza compromessa, potrebbe aggravarsi ulteriormente: è emerso che avrebbe usato il telefonino di Kevin fingendo di essere lui nelle chat con gli amici in cui affermava che in casa era tutto normale.
Negli stessi momenti, invece, si celebravano quei riti per liberare dalla possessione dal demonio che sono sfociati nel massacro. Quando i carabinieri erano arrivati, lei dormiva, poi aveva confessato di aver contribuito a seppellire in giardino i resti carbonizzati della madre e di avere infierito sul fratello più grande saltandogli sulla pancia. Kevin aveva lottato come un leone per sottrarsi alla furia: lo aveva riferito la stessa Sabrina Fina durante l’interrogatorio. Il sedicenne si era difeso ed era stato necessario legarlo mani e piedi perché aveva morso la donna a una caviglia e tirato un quadro al compagno colpendolo al collo. Per questo motivo lo avevano immobilizzato: «In particolare il padre lo aveva bloccato mentre Sabrina e Massimo lo legavano con una catena», si legge nell’ordinanza che ricostruisce tutte le fasi del tragico rituale.
Poche ammissioni e tanti punti oscuri che sin dal primo momento non avevano convinto del tutto: in ogni caso tutte le sue dichiarazioni dovranno essere verificate. Gli investigatori si chiedono come mai non abbia invocato aiuto nonostante avesse a disposizione il telefonino e perché sia stata risparmiata proprio lei. Perplessità che, per la verità, si erano già affacciate nell’inchiesta: «Durante tutto il tempo in cui si erano protratti i fatti, durati più di una settimana - aveva scritto il Gip -, l’indagata aveva avuto a disposizione il telefono e, pur non andando a scuola, aveva continuato a mantenere il contatto con una compagna di scuola, il cellulare le era stato tolto, infatti, soltanto alla fine dagli adulti quando erano andati via. Tuttavia, malgrado la madre le chiedesse aiuto e le dicesse di chiamare i carabinieri non lo aveva fatto. Insieme al padre aveva scritto alcune frasi a carattere religioso sui muri della casa e si era unita alle preghiere in arabo aramaico che Massimo e Sabrina avevano fatto nel corso della settimana». Le risposte a molte di queste domande potrebbero arrivare grazie all’esame dei dispositivi elettronici che erano in uso ai componenti della famiglia Barreca e di quelli sequestrati ai due «fratelli di Dio» nella loro abitazione di Sferracavallo.
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