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Saguto, in corso a Palermo le procedure di arresto: l'ex magistrato è in una clinica

La sentenza della Corte di Cassazione ha reso definitiva la condanna per corruzione

Silvana Saguto

L’ex presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, Silvana Saguto, sta ricevendo in queste ore la notifica di un ordine di esecuzione della pena da parte dei finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria del capoluogo siciliano. Lo apprende l’Agi.

Il provvedimento è della Procura generale di Caltanissetta, che ha ritenuto che, in base alla decisione di ieri della Corte di Cassazione, possa essere eseguito un «giudicato parziale» e arrestare l’ex magistrato, sotto inchiesta dal 2015 ma mai sottoposto a misure cautelari restrittive della libertà personale. Ieri la Suprema Corte aveva ordinato un nuovo giudizio di appello, nel capoluogo nisseno, solo per rideterminare la pena, ma la colpevolezza per i reati più gravi (concussione, corruzione e altri) era stata confermata.

Le forze dell’ordine, pertanto, stanno per eseguire l’arresto. La sentenza della corte di Cassazione ha reso definitiva la condanna per corruzione inflitta in appello all'ex magistrato di Palermo. La sentenza, dunque, è esecutiva per le parti confermate pur avendo i supremi giudici disposto l’annullamento di altre parti del verdetto.

Silvana Saguto da 20 giorni è ricoverata per problemi di salute in una clinica a Palermo, ma, secondo quanto hanno appreso i suoi legali, questo non osterebbe al suo arresto.

La decisione arriva all’indomani della sentenza della Corte di Cassazione che ha sostanzialmente confermato la decisione della Corte di appello di Caltanissetta, soprattutto per quanto riguarda i reati più gravi di corruzione e di concussione, dichiarando alcune prescrizioni per reati minori e procedendo ad alcuni annullamenti. Per effetto di questa sentenza la responsabilità di quasi tutti gli imputati principali è accertata in via definitiva e il rinvio alla Corte di appello è funzionale a rivedere alcune posizioni e a rideterminare le pene.

La Sesta sezione penale si è pronunciata nell’ambito del procedimento che vede imputati, per numerosi reati contro la pubblica amministrazione, la ex presidente della sezione delle misure di prevenzione del Tribunale di Palermo e numerosi professionisti incaricati della gestione e amministrazione dei beni sequestrati e confiscati alle associazioni mafiose.
Silvana Saguto, nel frattempo radiata, finì al centro di una indagine sulla cattiva gestione della sezione misure di prevenzione di cui per anni era stata presidente, passando da icona antimafia a presunta collettrice di mazzette. In sintesi i pm di Caltanissetta, che l'accusavano di corruzione, falso, peculato e tentata concussione, le imputavano di aver favorito nell’assegnazione degli incarichi di amministratore giudiziario dei patrimoni confiscati ai mafiosi, professionisti a lei graditi. Tutti finiti sotto processo.

In appello Saguto ebbe otto anni e 10 mesi. E invece, dopo una lunga camera di consiglio, la Suprema corte ha annullato senza rinvio il verdetto in diverse parti (quelle relative alle contestazioni di falso, peculato e tentata concussione), ha disposto un nuovo processo di secondo grado per valutare alcune delle imputazioni e ha confermato le pene inflitte alla Saguto per due episodi di corruzione. Stessa sorte ha avuto la maggior parte dei coimputati che dovranno dunque attendere un nuovo processo davanti alla corte d’appello di Caltanissetta alcuni per la sola rideterminazione della pena alla luce degli annullamenti di, altri per la valutazione nel merito. È il caso del finanziere Rosolino Nasca, del marito e del figlio di Saguto, Lorenzo ed Emanuele Caramma, dell’amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara, uno dei professionisti che, secondo l’accusa, sarebbero stati favoriti e condannato in secondo grado a 7 anni e 7 mesi, degli amministratori giudiziari Roberto Santangelo e Carmelo Provenzano. Al marito dell’ex giudice, l’ingegnere Lorenzo Caramma, si imputava di aver beneficiato illecitamente di incarichi in procedure di prevenzione, al figlio di essersi fatto scrivere la tesi dal professore Carmelo Provenzano, che, in cambio, avrebbe gestito patrimoni mafiosi.

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