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Palermo, ai Rotoli venti bare spaccate: cattivi odori e perdite di liquidi

Bare spaccate

Scivolano via, orribilmente, trasformati in anonime pozzanghere, nel delirio di promesse infinite e decisioni mai prese. Non c’è pietà per chi muore ma che qualcosa nella vita è stato ed ha significato per gli altri: parenti, amici, colleghi di lavoro che assistono adesso non solo alla follia di un defunto che non viene sepolto, ma che lo vedono «disintegrarsi» platealmente, sciogliersi come neve al sole, diventare fiume nell’oceano dello sdegno. Sono più di venti le bare alloggiate inverosimilmente nelle due tensostrutture beduine sistemate da anni al cimitero dei Rotoli di Palermo che da giorni il caldo eccezionale ed il tempo (eccezionale) trascorso innaturalmente all’aperto ha fatto scoppiare. Percolano, si spandono sui pavimenti, rendono l’odore insopportabile e le condizioni igienico sanitarie già oltre il limite della decenza. Gli operatori della Reset parlano di situazione insostenibile, come se fino ad ora tutta questa storia dei morti lasciati a riposare sui pavimenti per anni o impilati su tubi da lavori edilizi non fosse già di ordinaria follia. Ci si abitua a tutto, magari. O forse no. Di fatto, da giorni è impossibile entrare nei depositi per prelevare le salme che intanto hanno trovato una collocazione. I lavoratori devono fare lo slalom tra casse mezze aperte, coperchi sollevati, liquidi che fuoriescono. La decomposizione accelerata, l’impensabile, l’orrore. L’odore è insopportabile e non lo sente solo chi lì ci va per mestiere.

«È una situazione imbarazzante - commenta Nicola Presti, finora responsabile delle squadre Reset distaccate al cimitero - Così non si può più andare avanti. La prossima settimana chiederò un incontro al neo sindaco in persona per chiedergli di adottare i provvedimenti del caso, visto che in questo ultimo anno sono state fatte solo promesse ma senza alcun riscontro».

Non si può più neppure entrare. L’emergenza sanitaria, palpabile a qualsiasi visitatore negli ultimi due anni è, nonostante tutto, rimasta però latente e mai conclamata ufficialmente. Chiudere il camposanto, è stato spiegato anche dopo i sopralluoghi del prefetto con gli esponenti della ex amministrazione Orlando, avrebbe creato una ben più grave situazione altrettanto irrisolvibile in tempi brevi. Il problema sono proprio le date degli interventi, il tempo, che non è più misura dei morti ma detta legge tra i vivi, a ingarbugliare la matassa. I viaggi a Sant’Orsola sono sembrati pellegrinaggi in terra Santa. Difficoltà, ritardi, incomprensioni, pochi soldi. Alla fine sono finiti anche gli spiccioli e bye bye posto a muro nel cimitero privato. Dei loculi prefabbricati in dirittura d’arrivo («saranno completati a novembre», dicevano) non si vede l’ombra. Non ci sono mezzi e operai nella sezione 473, l’area dove sono attualmente sepolti i bambini mai nati che doveva diventare un campo di inumazione con posti salma terrazzati su tre file per ospitare circa 200 dei defunti in attesa. Nulla. Il forno crematorio, altro capitolo. Prima bastava aggiustarlo, poi si è pensato a metterne uno mobile da usare in tutti i cimiteri comunali. Impossibile per un problema legislativo regionale legato alle emissioni dell’impianto. Ma intanto era passato un altro anno.
Finalmente qualche giorno fa è arrivata l’approvazione del progetto per l’ampliamento e la costruzione di quello nuovo. Oltre 2 milioni e mezzo disponibili con i fondi Cipe, ma sempre che si facciano nel frattempo i lavori per dotare il camposanto della fognatura. Altrimenti, resterà chiuso e non funzionante.

L’ex assessore Toni Sala aveva invero intercettato 500 mila euro nel salvadanaio di terracotta del Comune con le casse in rosso per finanziare gli interventi. Che fine ha fatto l’opera?

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