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Il blitz di Palermo, se il boss mafioso non sa cosa fare quando l'impresa dice no al pizzo

La divisione dei soldi al centro delle intercettazioni (frame dal video diffuso dai carabinieri di Palermo che hanno condotto l'operazione Navel)

C’è chi si spacca la schiena di lavoro nei cantieri e quando vede arrivare le facce dei mafiosi non vuole sentirne per niente di pagare chi ronza in cerca del pizzo. E allora bisogna maltrattarlo «picchì chistu è scimunitu». Ma c’è pure chi, ancora prima di aprire un’attività economica, chiede il permesso ai boss di Santa Maria di Gesù per sapere se ci sono problemi di concorrenza. È quanto è stato accertato dalle indagini dei carabinieri del Ros che hanno portato a Palermo ai 24 arresti di ieri dell’operazione Navel (qui tutti i nomi degli arrestati). A coordinarle il procuratore aggiunto Paolo Guido ed i sostituti Dario Scaletta e Luisa Bettiol.

L'impresa edile rifiuta di pagare il pizzo

L'inchiesta rileva come non venga meno la «tradizionale pretesa del pizzo nei confronti di esercenti commerciali o imprenditori attivi nel territorio controllato». A maggio del 2019 nel mirino  finisce una ditta edile di Villagrazia e per questo, dopo il rifiuto di pagare, i mafiosi di Santa Maria di Gesù prendono contatti con l’altra famiglia. Francesco Guercio fa il resoconto a Salvatore Freschi, competente per Villagrazia, e alla fine chiede: «A stu puntu c’ama a fari?». Della vicenda viene investito anche Sandro Capizzi, che s’informa: «I suoddi i siggisti?». Ma Freschi conferma la lamentela di Guercio di essere finito contro un muro: «Tannu ciu rissi... però mi fici burdiellu». «Va bene... adesso vedo io... dammi qualche giorno e mi informo», la risposta di Capizzi.

Un negozio da aprire: chiesto l'ok ai boss

È il 23 ottobre 2019 quando Massimo Mancino parla con Francesco Guercio del contatto avuto con un tale Giuseppe che deve aprire un’attività. «Le parole di Mancino - riporta nell’ordinanza il Gip, Fabio Pilato - consentivano di apprendere che Giuseppe aveva chiesto l’autorizzazione ad aprire un’attività commerciale e l’indomani avrebbe nuovamente incontrato l’uomo d’onore per ottenere il responso». E «io gli dico che qua non si potrebbe fare...», ragionava Mancino che, poi, con Guercio avrebbe deciso per rompere gli indugi: «Eh vabbé, si ciamu a parrari dico... pa misa a postu».

Una piazza a metà fra i territori di due mandamenti

Perché il pizzo è questione economica ma anche e soprattutto di potere fra le famiglie mafiose. Sono ancora Guercio e Mancino ad avere contatti per una disputa tutta territoriale con Antonino Graviano, 43 anni, figlio di un cugino dei fratelli Filippo e Giuseppe Graviano e appartenente al mandamento di Brancaccio. Graviano non figura fra gli indagati di questa operazione, ma è stato già chiamato a rispondere per questa vicenda in un altro procedimento. Si tratta di definire chi possa mettere sotto estorsione un’impresa edile che lavora in un cantiere di largo Lionti. Un conflitto di competenze perché, rilevano gli inquirenti, il largo è «un piazzale a cui si accede da via Oreto (verso il lato urbano basso ovvero geografico nord-est ) con ulteriore apertura su via Francesco La Colla (traversa che collega via Oreto con via Buonriposo-parte sottoposta a Via Oreto), in modo da risultare incastonato tra le due predette vie. Va premesso che è giudiziariamente accertato che via Oreto ricade nel territorio controllato dal mandamento di Santa Maria di Gesù-Villagrazia, segnandone per gran parte il confine nordorientale, così come che via Buonriposo-parte sottoposta a Via Oreto rientra sotto la competenza del mandamento di Brancaccio. Dunque, largo Lionti rappresenta nei fatti un'isola tra le due vie di confine».

Il rispetto per l'altra cosca

L’imprenditore aveva deciso di denunciare l’estorsore, ma quando Graviano sarebbe andato in cantiere, trovando solo gli operai, non sarebbe mai riuscito a fare la sua richiesta direttamente al titolare. E, allora, Graviano avrebbe cercato gli uomini di Santa Maria di Gesù-Villagrazia per dirimere la questione perché gli operai, nonostante le minacce, non si fermavano come era stato loro detto. E poi erano spuntati i carabinieri e l’estorsione era fallita. «Tale comportamento risulta assolutamente in linea con i principi regolatori delle relazioni in Cosa nostra, risultando evidente l'ossequiosità di Graviano al dovere di informazione e al rispetto per gli altri affiliati. Infatti, un'azione violenta nei confronti dell'imprenditore o in danno dell'impresa avrebbe certamente potuto avere ripercussioni anche sugli affiliati di Santa Maria di Gesù».

I soldi per i carcerati

Perché i soldi servivano e quelli del pizzo erano già destinati ai carcerati e alle loro famiglie e non c’erano sconti da fare nemmeno per gli esattori. Il 3 aprile 2019 Francesco Guercio spiega a Mimmo Rao che aveva già dato ordini che «i duemila euro che siggi li prendi e li sganci... Te lo dico io a chi gli devi dare i soldi tu... a Piero... a Cosimo a u miricanu ed a Peppuccio... devi siggiri duemila euro e duemila euro devi consegnare... gli ho detto “per te non c’è niente”». Per gli inquirenti le somme erano da dividere 500 euro a testa per i detenuti Giuseppe Galati, u miricanu, Pietro Cocco, Peppuccio Contorno e Cosimo Vernengo.

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