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Palermo, gli portano via la moto con i rolex e lui chiede aiuto al basista della rapina

Nei due riquadri Mimmo Rao (sopra) e Francesco Guercio

Un ragazzo a torso nudo arriva e con la maglietta strappata in mano. Fa qualche passo, sconvolto dopo aver subìto la rapina, e in cerca d’aiuto torna da chi crede amico. Che, invece, sarebbe il compare dei quattro che poco prima l’avevano aggredito ed erano riusciti a portargli via la moto in cui teneva nascosti gli orologi di lusso che trattava come rappresentante. La vicenda viene fuori dalle carte dell'operazione Navel portata a termine ieri dai carabinieri e che ha permesso l'esecuzione di 24 arresti (clicca qui per conoscere i nomi degli arrestati).

Le immagini della videosorveglianza riprendono tutto ed ha un risvolto ancora più amaro il colpo messo a segno il 20 settembre 2019 alle 17,19 all’incrocio fra via Gaspare Palermo e via del Vespro, a Palermo. Nell’ordinanza le contestazioni sono a carico di Francesco Guercio, Mimmo Rao, Giovanni La Mattina, Iachino Cardella, indicati come i banditi che erano entrati in azione grazie all’imbeccata del basista che, secondo l’accusa, sarebbe Mariano Calascibetta, al quale spettava pure il compito di smerciare i Rolex e gli Omega recuperati. La ricostruzione dei carabinieri ha permesso di individuare, prima di quel giorno, almeno due sopralluoghi per farsi un’idea precisa della strada e degli spazi prima di braccare la vittima. «La vedi la tabella di là... quello si posteggia qua... entra in quella gioielleria», spiega Rao a Guercio. «E lui se ne va da qua... possibile che lo fermiamo qua o qua, appena gira Iachino... lui è con il motore». Il negozio non è del basista ma di un suo zio materno, Calascibetta però da avvicinato dei mafiosi («che è un amico nostro... la gioielleria») non avrebbe negato dettagli per un colpo con pochi rischi e un segreto. Gli oggetti preziosi erano nascosti all’interno della moto che andava smontata.

Ancora Rao consigliava: «...con Giovanni, quello lo conosce e a te non ti conosce nessuno... mettiti il cappellino...»; «Non c’è bisogno, sono con il casco». Rao era pronto a «dare qualche calcagnata» e Cardella si candidava: «Lo spacco io...». Ed era stato di parola quando la rapina era scattata. Il giorno dopo, il racconto intercettato: «Io a quello lo avevo nelle mani... che se ne voleva andare e u curchiavu». Rao sapeva che l’obiettivo del colpo era portare via la moto imbottita di orologi, quindi «l’ho visto che te lo sei tenuto fino all’ultimo... io mi sono fermato... poi ho visto a te, ti sei preso il motore e ho detto amunì». Il mezzo rubato sarebbe stato portato in un garage di via Marinuzzi usato come deposito di ambulanze e che in passato aveva anche ospitato il 17 maggio 2018 un incontro fra il reggente Ignazio Traina e Settimo Mineo, capo del mandamento di Pagliarelli.

Che fosse una rapina autorizzata dalla mafia lo indicherebbe l’obbligo di «fare il regalo a Massimo» Mancino, indicato come esponente di vertice della famiglia di Santa Maria di Gesù. Un colpo da 8.000 euro ma la vittima, nel tentativo di recuperare la refurtiva, quantomeno la moto, si era poi rivolta a tale Giò che era facilmente arrivato a Rao che però l’avrebbe stoppato. Ma il rapinato aveva pure il sospetto che fosse stata una trappola concordata, come quell’appuntamento per portare la merce. Per gli inquirenti «Mariano Calascibetta aveva fornito la notizia dei contatti col rapinato, aveva illustrato l’abitudine di quest’ultimo di occultare i beni trasportati nelle componenti del suo motoveicolo e aveva fatto in modo che questi si recasse» alla «sua gioielleria» vicino al luogo della rapina.

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