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L'omicidio alla Vucciria, Burgio e quel padre ingombrante "fedelissimo del boss"

Emanuele Burgio, il 26enne ucciso alla Vucciria

Nel nome del padre e di tutta la sua famiglia. Sorridenti e con tanto di scritta: «È questo il mio tutto. La forza e la voglia di vivere ogni giorno che passa, siete la mia ragione di vita».

La dedica nella foto postata è al capofamiglia, Filippo Burgio, e il giorno di festa è nell’autunno del 2019, quando l’uomo è tornato libero per la scadenza dei termini. Ma durerà poco. Giusto il tempo di una serata con parenti e amici. Lo aspetta già una cella nel carcere di Voghera, dove si trova attualmente detenuto e dove ieri è stato raggiunto dalla notizia con un telegramma, ma il legale di Burgio, l’avvocato Giuseppe Farina, ha pronta l’istanza al magistrato di sorveglianza di Pavia per chiedere ora che venga concesso il permesso per assistere ai funerali del figlio.

Emanuele Burgio, ucciso la notte scorsa in una strada della Vucciria, a Palermo, in vita sua - scrive Vincenzo Giannetto sul Giornale di Sicilia oggi in edicola - in cella non c’era mai finito ma aveva avuto problemi con la giustizia. Nel 2020 si era chiuso con un’assoluzione il processo per la rapina ad una gioielleria di corso Calatafimi. Era in corso, invece, il procedimento davanti alla quinta sezione penale del Tribunale per una storia di droga. Era stato accusato assieme ad altri di essersi occupato di un traffico di hashish da Vicenza a Palermo. L’indagine risale al 2017 e c’era stato il rinvio a giudizio. Que- sta l’ultima vicenda penale che pen- deva sulla sua testa.

Di tutt’altro calibro il passato del padre, 48 anni, considerato legato alla cosca di Palermo centro, a cui la Corte d’appello dopo il rinvio della Cassazione, aveva rideterminato a gennaio del 2018 la pena a 11 anni (9 per mafia e 2 per due estorsioni) dopo essere considerato uno dei fedelissimi del boss di Pagliarelli Gianni Nicchi, praticamente il suo cassiere, nell’ambito dell’operazione Hybris del 12 luglio 2011 in cui vennero ar- restate in tutto 39 persone. Ma Burgio, con casa in via Costante Girar- dengo allo Zen, prima che i suoi guai giudiziari lo portassero in carcere era formalmente il titolare di una ri- vendita di moto in corso Vittorio Emanuele.

Il suo nome era stato tirato in ballo pure per una storia di pizzo su un appalto da un milione e 200 mila euro a una ditta per la manutenzione della rete fognaria ed era stato arrestato il 22 aprile 2009 assieme a Pietro Abbate, Francesco Paolo Lo Iacono e Silvio Mazzucco. E nell’ambito di quelle indagini pro- prio a Burgio era stato trovato quello che gli inquirenti avevano considerato il libro mastro con all’inter- no una quindicina di nomi in codice che avrebbero indicato altrettanti imprenditori da taglieggiare. Erano alcuni fogli a righe scritti a penna, con queste annotazioni: «500 Grilli Ko dati; 1500 Salvo Ko dati; 1000 Giovani Ko dati; 500 Trattori Ko da- ti; 1500 Saccone K; 500 Nabbucco; 500 Falegname; 500 Panificio/Fir ; 1000 Pizza Bel; 750 Vitti dati Nino sc; 1100 Santino bar; 500 Alamo P.; 500 Facciata. Panzo; 1000 Tabacchi; 1000 Corvoro». Burgio era stato tro- vato coi pizzini che, dopo le perizie calligrafiche, erano stati attribuiti all’allora latitante Nicchi.

A parlare di lui erano stati il collaboratore di giustizia Giuseppe Razzanelli e un imprenditore che lo aveva indicato fra gli esattori che si erano presentati in cantiere. In un’intercettazione del 17 marzo 2009 i carabinieri avevano annotato uno di quei colloqui: «Ora ci siamo noi altri! Non c’è bisogno che vai da nessuna parte! poi, se ci vuoi andare... Vai cercando «l’amico» per le certezze! Questa è una cosa che devi vedere tu».

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