Ha denunciato per tre volte il pizzo e adesso rischia il fallimento a causa dell’istanza presentata da Edilcassa Sicilia. L’ente bilaterale è costituito al 50 per cento da rappresentanti degli artigiani edili Anaepa Confartigianato e per la restante parte dai rappresentanti del sindacati Cgil, Cisl e Uil. Ha lo scopo di salvaguardare gli interessi dei lavoratori, artigiani e delle piccole imprese, e nel 2018 aveva introdotto nel suo mondo, attraverso il responsabile dello sportello antiracket Matteo Pezzino, l’imprenditore edile palermitano Giuseppe Piraino, dopo la prima di una lunga serie di ribellioni a Cosa nostra. Salvo poi «pugnalarmi alle spalle», attacca adesso l’imprenditore.
Titolare della Mosina costruzioni Srls, Piraino domani (18 settembre) dovrà affrontare l’udienza per l’istanza di fallimento con il suo legale Ugo Forello, che è anche consigliere comunale del gruppo Oso: il cortocircuito clamoroso è arrivato a causa di un debito che l’imprenditore ha con la Edilcassa e «che ammonta a 280 mila euro - spiega Piraino - ma con il fallimento dell’azienda gli operai non vedranno mai ciò che gli è dovuto, forse tra circa 3 o 4 anni, e i soldi li dovrà mettere di tasca lo Stato, probabilmente».
Ma da dove hanno origine queste somme che l’imprenditore edile deve a Edilcassa? Giuseppe Piraino aveva ricevuto la prima richiesta di pizzo nel 2018: stava ristrutturando un immobile nel quartiere del Capo e fin dal primo momento scelse di non piegarsi. A testa alta, denunciò il tentativo di «messa a posto» e riprendendo di nascosto il volto del suo aguzzino (Giuseppe Marino, affiliato al mandamento di Porta Nuova) fece scattare gli arresti. L’imprenditore incassò anche la solidarietà di Confartigianato, che si costituì parte civile nel processo.
Il secondo episodio nel 2020, «quando alcuni miei operai furono addirittura buttati fuori dal cantiere», al Borgo Vecchio, da Salvatore Guarino. Il terzo nel 2022, a Brancaccio, quando a chiedere il denaro era stato il braccio destro di Giancarlo Romano (Vincenzo Vella). Romano era il reggente delle famiglie di corso dei Mille: fu ucciso in un conflitto a fuoco lo scorso 26 febbraio allo Sperone per una questione non risolta di pagamenti legati all'attività delle scommesse.
Poi la mazzata dei crediti del bonus 110 per cento, la cui cessione, bloccata lo scorso marzo, ha gettato in crisi gli imprenditori e bloccato tutti i cantieri. «Sto cercando di venderli, così da pagare fornitori e operai, cui ho già dato circa mezzo milione di euro - spiega Piraino -. Ora non abbiamo più nulla, abbiamo già venduto tutto ciò che potevamo, ma se dichiaro il fallimento i miei operai e circa settecento inquilini di palazzi in cui sono stati effettuati lavori con il superbonus rischiano di non vedere nulla». All’orizzonte, però, Piraino aveva intravisto una luce: la legge 44 del 1999, che consente agli imprenditori colpiti dal racket di poter chiedere una sospensione dei debiti per alcuni anni, dando così la possibilità di rimettersi economicamente in carreggiata. Ed effettivamente nel mese di aprile, la procura aveva accolto la richiesta presentata dall’avvocato Ugo Forello: «Per due anni - racconta Piraino - mi sono state sospese le posizioni debitorie verso i fornitori, per tre anni invece con il fisco».
Insomma, l’imprenditore aveva ottenuto la possibilità, legittima, di respirare e poter trovare i soldi per i suoi dipendenti e ripianare i debiti. Così come è in attesa dell’ok definitivo la richiesta di risarcimento, al momento in esame a Roma. «Chiedevo tempo alla Edilcassa - prosegue - fino a quando tra capo e collo mi è arrivato via Pec un decreto ingiuntivo e poi la richiesta di pignoramento, quest’ultima illegittima, perché non mi era mai stata notificata da Edilcassa, ho controllato più volte e non l’ho trovata da nessuna parte. Ribadisco: se fallisco, i crediti vengono bruciati e gli operai non prenderanno nulla, se non tra anni. Ho chiesto più volte tempo, rapportandomi anche con chi fino a poco tempo prima mi aveva portato su un palmo di mano come esempio e poi mi ha abbandonato».
Piraino si è detto sbalordito e punta il dito contro «il messaggio che sta passando da questa storia - attacca -, cioè che è meglio non denunciare. Alla fine non sto trovando nessuna mano tesa al netto di una costituzione di parte civile e dei tanti riflettori, che io stesso non ho mai voluto, per avere fatto il mio dovere, ovvero denunciare chi mi ha chiesto il pizzo. Sono stato portato come esempio di grande eroe e ora? Io non ho scorta e non la vorrò mai, ma io e la mia famiglia ci dobbiamo sempre guardare le spalle quando camminiamo per strada. Che aiuto sto ricevendo?».
Il presidente di Edilcassa, Daniele La Porta, risponde che l’ente «persegue fini previdenziali e assistenziali a garanzia dei diritti dei lavoratori e delle imprese. Tali funzioni istituzionali comportano la necessaria attivazione di procedure idonee a perseguire tali finalità che, purtroppo, prescindono da circostanze ulteriori, che troveranno legittima considerazione nelle sedi deputate e per le quali si può manifestare solo solidarietà personale».
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