Tra gli accertamenti irripetibili, disposti dalla Procura di Termini Imerese per stabilire le cause dell’incidente del lavoro di Casteldaccia in cui sono morti cinque operai, ce n’è anche uno che riguarda la cantina Duca di Salaparuta, che si trova a pochi metri dall’impianto di sollevamento delle acque fognarie, gestito dall’Amap, in cui è avvenuta la tragedia. «I consulenti tecnici dovranno accertare se vi sono stati sversamenti di liquidi o di altro genere provenienti dalla vicina azienda Duca di Salaparuta che ha sede in via Nazionale 113», ha fatto mettere a verbale l’avvocato Giuseppe Geraci, che assiste Domenico Viola - l’unico sopravvissuto della strage, per il quale i medici del Policlinico hanno sciolto la prognosi sulla vita - nel corso della riunione di ieri davanti ai pubblici ministeri Elvira Cuti e Giacomo Barbara, i quali hanno accolto il quesito.
E dunque agli esperti - che lunedì 20 maggio dovranno comprendere cosa è accaduto nella vasca di raccolta e perché la fuoriuscita dell’idrogeno solforato è stata così potente da uccidere in pochi secondi Epifanio Alsazia, Roberto Raneri, Ignazio Giordano, Giuseppe Miraglia e Giuseppe La Barbera – toccherà anche il compito di escludere che l’azienda vinicola possa avere incanalato nella cisterna scarti di produzione, contribuendo così ad aumentare il grado di fumi tossici prodotti dalla fermentazione dei liquami contenuti all’interno.
Duca di Salaparuta, gruppo che riunisce anche altri due brand storici come Corvo e Florio, ha offerto la massima collaborazione nell’inchiesta, sottolineando allo stesso tempo che la legge impone agli stabilimenti che producono vino il trattamento, il filtraggio e la depurazione dei reflui e dei rifiuti prima dello scarico in fognatura. «Accoglieremo i controlli a braccia aperte – dicono dall’azienda – e i periti troveranno l’impianto di depurazione perfettamente funzionante. Non c’è alcun collegamento con quanto accaduto nel pozzetto dell’Amap».
Gli indagati, al momento, sono tre: Gaetano Rotolo, il direttore dei lavori dell’Amap che è la società committente, Giovanni Anselmo, amministratore unico della Tek Infrastrutture di San Cipirello, che si era aggiudicata l’appalto da un milione di euro, e Nicolò Di Salvo, contitolare della Quadrifoglio che aveva ottenuto una commessa da 100 mila euro in subappalto. I professionisti torinesi, Ivo Pavan, docente universitario di Chimica industriale, e l’ingegnere chimico Maurizio Onofrio si caleranno, assieme ai vigili del fuoco, nella camera a sei metri di profondità per eseguire le analisi e trovare i riscontri alle domande poste dagli avvocati delle parti coinvolte con l’obiettivo di accertare eventuali responsabilità.
Al centro dell’indagine, oltre alla catena degli appalti, c’è anche il rispetto delle misure di sicurezza: i primi accertamenti hanno rivelato che le vittime non sarebbero dovute scendere nei locali sotterranei e che non indossavano le protezioni. A uccidere i cinque addetti alla manutenzione dell’impianto, come confermato dalle autopsie, sarebbe stato il gas sprigionato dai liquami, probabilmente perché è saltata, o è stata tolta, la copertura che sigillava la vasca di contenimento. Per dare la risposta a questi interrogativi occorreranno tre mesi: i magistrati hanno chiesto ai consulenti approfondimenti di tipo amministrativo ma anche di natura squisitamente tecnica. In particolare, vogliono sapere se Amap, Tek e Quadrifoglio «fossero in possesso di tutta la documentazione necessaria per lo svolgimento di lavori di quel tipo svolti all’interno dell’impianto», se le due ditte (Tek e Quadrifoglio) avessero «requisiti e mezzi» per realizzare l’intervento e se la municipalizzata – e a cascata tutte le altre – avessero controllato l’idoneità per eseguire le opere per cui avevano ricevuto l’incarico. Ma l’attenzione sarà puntata a tutte le società dell’appalto per capire «se avessero predisposto e seguito procedure specifiche di lavoro», «se avessero garantito e fornito ai loro dipendenti la formazione e l’informazione specifica per il lavoro in un ambiente confinato e per il rischio chimico» e se gli operai avessero a disposizione i dispositivi di protezione individuale di terza categoria (elmetti, imbracature e autorespiratori) oltre alle apparecchiature e alla strumentazione «per la rilevazione di gas tossici e non e del tenore di ossigeno».
L’incidente probatorio servirà per appurare anche l’origine dell’elevata concentrazione di idrogeno solforato, un gas asfissiante, una minaccia silenziosa e insidiosa perché può uccidere velocemente chi lo inala, a maggior ragione se ha superato di dieci volte il limite consentito. Per questo motivo, durante il sopralluogo di lunedì, verranno prelevati campioni di acque reflue in modo da potere misurare la quantità «dei solfuri presenti e valutarne il ph e ogni altro parametro chimico».
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