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Gli affari d'oro della cooperativa di Partinico: l'impennata del business del trasporto studenti disabili

Nel mirino degli inquirenti anche le fatture gonfiate. In un'intercettazione ne parlano Michela Sclafani, funzionario della Città metropolitana di Palermo, e il marito Giovanni Dalia

Un sistema collaudato per avvicinare con un approccio referenziale il funzionario pubblico da blandire e irretire per sbloccare pratiche e finanziamenti, un metodo affinato passo dopo passo con l’obiettivo di drenare le risorse pubbliche. Nell’atto d’accusa sugli affari della coop Nido d’argento viene tracciato un vasto campionario di tecniche corruttive. Nell’ordinanza del gip Elisabetta Stampacchia, con dodici misure cautelari eseguite due giorni fa, un capitolo è dedicato all’associazione per delinquere che sarebbe stata composta da Giuseppe Gaglio, il dominus della coop di Partinico che ha rilanciato il Borgo Parrini divenuto oggi meta di turisti, Massimiliano Terzo, entrambi finiti in carcere, Giuseppe Chiaramonte e Francesco Chiavello, per i quali sono stati disposti i domiciliari.

«Persino il reperimento delle risorse necessarie per il pagamento delle tangenti è affidato a meccanismi rodati - scrive il giudice - messi a punti da Gaglio e dai suoi uomini al fine di evitare la tracciabilità delle operazioni illecite. È una prassi la raccolta del denaro, versato dal presidente della cooperativa ai suoi stretti collaboratori mediante bonifici con causali fittizie, poi restituito in contanti nell’importo equivalente alla somma versata».

Ma c’è di più. Secondo l’accusa, c’è anche la «riscossione in nero , tramite i referenti locali della coop, dei proventi delle attività di consulenza effettuate nei confronti degli utenti delle prestazioni, altrimenti spartite fra gli indagati e finanche elargite ai familiari di Gaglio. È evidente che tali somme di danaro costituiscono la cassa della società ma, altresì, dell’associazione per delinquere instaurata fra i soci: in essa confluiscono anche i proventi delle numerose e diversificate attività svolte dalla cooperativa, quali il trasporto dei disabili nei centri di riabilitazione e nelle scuole». Attività sulle quali si sarebbe lucrato attraverso fatture gonfiate.

Su questo fronte, nell’inchiesta si fa riferimento ai rapporti del gruppo con Michela Sclafani, funzionario della Città metropolitana sospesa dal servizio, e con il marito Giovanni Dalia, indagato a piede libero. Al centro della storia c’è il servizio di trasporto degli studenti con disabilità negli istituti superiori facenti capo alla ex Provincia. La Sclafani, sottoposta a intercettazioni, si sarebbe spesa con i colleghi d’ufficio «per sollecitare o ottenere informazioni circa lo stato dei pagamenti, per cercare di snellire le procedure anche abdicando alla regola del meticoloso controllo - da eseguirsi mediante l’incrocio con le presenze degli alunni effettivamente trasportati - in favore di un controllo a campione, o addirittura in toto alla propria funzione. Sclafani, dopo avere consultato Gaglio, decideva di non indire una nuova procedura di accreditamento di imprese per il servizio di trasporto - aggiunge il giudice - nonostante il fallimento dell’altra azienda accreditata, Iside, e ciò al solo fine di evitare l’ingresso di nuove imprese con conseguenti possibili problemi per la cooperativa di Gaglio».

C’è l’intercettazione di un colloquio tra Sclafani e il marito in cui si parla della liquidazione di fatture gonfiate emesse dalla coop Nido d’argento. «Il fatto è che lui gonfia, gonfia - dice Dalia -. Non è giusto». E la moglie: «Siccome lui gonfia ed è passato... non gli è bastato questo mese. Sai quanto ha fatturato? Quattrocentomila euro. Con gli stessi numeri di ragazzini che aveva prima. Ma è pazzo. Ma secondo te io posso giustificare i suoi introiti? Eravamo a cento, duecento, centocinquanta». Dalia chiosa: «Da centocinquanta a quattrocento, che fa scherzi?». Secondo la ricostruzione dei fatti compiuta dai carabinieri, con il coordinamento del procuratore aggiunto Paolo Guido e dei pm Giacomo Brandini, Giulia Falchi e Chiara Capoluongo, Gaglio si sarebbe premurato di lusingare e ricompensare il pubblico ufficiale e il marito con frequenti regalie. Tra queste, «cene in costosi ristoranti della città, elargizioni di ogni tipo (olio, panettoni, dolci, profumi), una collana di smeraldi del valore di 1.800 euro, trovata nel corso della perquisizione. Gaglio ha inoltre assunto o promesso l’assunzione di parenti e amici della coppia presso la cooperativa».

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