Paolo Suleman e Giuseppe Marano erano andati a riscuotere il pizzo in una pescheria di corso Calatafimi ma un carabiniere, che passava da quelle parti, li aveva riconosciuti e da lontano si era messo a riprendere i loro movimenti con il telefonino. Loro non se n’erano accorti, ci aveva pensato il commerciante ad avvertirli e, per non destare sospetti, avevano dovuto comprare un polpo e due spiedini di pesce spada come clienti qualsiasi. Ma gli esattori, piuttosto che ringraziare, si erano per giunta arrabbiati con il taglieggiato sostenendo che avrebbe dovuto avvisarli prima della loro visita. Davanti al negozio avevano evitato qualsiasi commento tenendo lontani i telefoni per il timore di essere intercettati, solo in seguito si erano sfogati tra loro ma la precauzione non era servita a nulla perché gli investigatori li stavano ascoltando lo stesso attraverso il cellulare di Marano.
Il boss aveva svelato ai suoi compari che era stato il proprietario della pescheria ad indicargli la presenza del carabiniere («vedi che è questo!») mentre Marano aveva lodato l’intuizione di avere acquistato il pesce biasimando piuttosto il comportamento tenuto dal commerciante che, alla luce della natura illecita dei loro contatti, avrebbe dovuto segnalare in anticipo il pericolo: «Ci doveva dire a noialtri: “andatevene che c’è questo della Carini”», riferendosi appunto alla caserma, sede del comando provinciale dei carabinieri. Poi avevano parlato del pizzo che il titolare della pescheria non voleva saperne di versare. L’importo per rimpinguare le casse del clan era stato fissato in 500 euro ma l’uomo nicchiava.
(Nelle foto Paolo Suleman e Giuseppe Marano)
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