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Il fermo per l'omicidio di Palermo, il cuoco e proprietario di Appetì: «Badr era un fratello, non abbiamo notato nulla»

La testimonianza di Giuseppe Lo Jacono: «Sapere che l’assassino potrebbe essere qui accanto fa rabbia, mette anche un po' paura»

«Non abbiamo notato nulla. Abbiamo rapporti di buon vicinato quasi con tutti, testimonianza è che in questi giorni abbiamo ricevuto tantissime chiamate di cordoglio». È il racconto di Giuseppe Lo Jacono, cuoco e proprietario del locale Appetì di Palermo, dove lavorava come cameriere Badr Boudjemai, l'algerino di 41 anni trovato morto in via Roma la sera di venerdì 3 novembre. Del delitto è accusato un tunisino di 32 anni, Alì Elabed Baguera, parente dei proprietari di Al Magnum, che si trova sempre in via Emerico Amari, accanto ad Appetì.

Lo Jacono ha gli occhi gonfi e rossi e riguarda foto e video del suo dipendete e amico: «Eravamo come fratelli - continua -, anche oggi rimarremo chiusi. Sapere che l’assassino potrebbe essere qui accanto fa rabbia, mette anche un po' paura. Noi con loro non abbiamo alcun tipo di rapporto, ma non abbiamo mai avuto neanche screzi o chissà cos’altro».

Rabbia e incredulità aleggiano tra lo staff del locale dove lavorava Badr: «Non capiamo cosa possa essere successo - dicono i suoi colleghi e amici - c’era gelosia per il suo lavoro? Perché era bravo? Ma si può arrivare a tanto?». Domande a cui darà una risposta l'inchiesta. Intanto, il pm Vincenzo Amico ha emesso il provvedimento di stato di fermo per il 32enne tunisino, incastrato dalle telecamere di via Roma.

Dal ristorante Al Magnum, separato da Appetì dalle sole piante ornamentali, non trapela nulla, i camerieri preparano i tavoli per l’apertura e il padre dei titolari - che preferisce non sia pubblicato il suo nome - è seduto a controllare le operazioni: «Non so nulla - dice -, non conosco il cameriere». Ma condanna il gesto: «Qualsiasi cosa - continua - può essere risolta, abbiamo tutti figli a casa che ci aspettano».

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