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L'organigramma del mandamento di Porta Nuova: ecco chi gestiva gli affari della droga

L'inchiesta che ieri - 6 luglio - ha portato a 18 fermi per mafia e altri reati a Palermo svela il nuovo organigramma del mandamento di Porta Nuova. Sul ponte di comando sarebbe arrivato, dopo la scarcerazione, Tommaso Lo Presti, detto il lungo, 57 anni, con la collaborazione di Giuseppe Di Giovanni, di 42 anni, fratello dei boss Tommaso e Gregorio, e Giuseppe Incontrera, l’uomo assassinato la scorsa settimana. Peraltro, Incontrera e Giuseppe Di Giovanni erano consuoceri.

I diciotto fermati, fatti sfilare sulle auto dell’Arma davanti al murales della legalità all’esterno della caserma Carini con i volti delle vittime della mafia, sono stati condotti nel carcere di Pagliarelli.
Nell’atto d’accusa vengono indicati i ruoli di ciascuno degli indagati e i magistrati della Dda scrivono a chiare lettere che alcuni di loro sono «responsabili diretti o indiretti» dei recenti fatti di sangue avvenuti in città. Nelle pagine del fermo c’è anche il nome di Filippo Burgio, detenuto dopo la condanna per mafia e ritenuto un tempo il cassiere di Palermo Centro, che a maggio dell’anno scorso ha visto cadere il figlio Emanuele in un agguato in via dei Cassari, alla Vucciria. Un delitto inquadrato in conflitti nel giro dello smercio di stupefacenti, un affare che sarebbe legato anche alla fine di Incontrera. In particolare, Burgio (non raggiunto da provvedimenti nell’ultima inchiesta) viene indicato assieme a Leonardo Marino come complice di Antonino e Giorgio Stassi nella gestione della piazza di spaccio della Vucciria. Salvatore Incontrera avrebbe dato una mano al padre sul fronte del traffico di stupefacenti e, con Francesco Domina e Massimiliano D’Alba, avrebbe gestito una piantagione indoor di marijuana. Ruoli di primo piano nel traffico di stupefacenti sono attribuiti anche a Giuseppe Auteri e Antonino Ventimiglia, ritenuto un grosso fornitore.

In tempi di Covid e di consegne a domicilio, il gruppo si sarebbe specializzato anche nelle consegne di dosi a domicilio 24 ore su 24, usando come stratagemma l’apparente consegna di pizze. La base operativa sarebbe stata in via Regina Bianca e ad occuparsene sarebbe stato Roberto Verdone. Le piazze sono state rigidamente divise, secondo un modello per rendere efficiente il business. Ad Andrea Damiano, secondo l’accusa, sarebbe stata affidata la zona del Capo, quartiere in cui si sarebbe mosso anche Giuseppe Giunta, incaricato di occuparsi anche di Ballarò. Gioacchino Pispicia avrebbe operato in via Cipressi.

L’affare della droga (hashish, marijuana, cocaina, eroina e crack) dalla Zisa sino al mare, cioè nei territori delle famiglie di Porta Nuova e Palermo Centro, rappresenta una fonte di grosso guadagno. E, in nome del business e delle ferree regole criminali, chi sgarra paga con la vita. Le indagini sugli ultimi delitti sembrano portare proprio verso questa direzione. Nello spaccio sono impiegati interi nuclei familiari e alcuni rioni sono veri e propri fortini controllati da vedette pronte a segnalare presenze sospette. Nel corso delle inchieste sullo spaccio, gli investigatori hanno documentato centinaia di consegne al giorno. Un «lavoro» al quale prendono parte anche le donne e i ragazzini.

In città il mercato non conosce soste, la domanda di droga è grande e in tanti quartieri per molte famiglie lo spaccio viene considerato come un’occupazione a tutti gli effetti. Gli interessi intorno all’affare sono enormi, tanto che per ogni pusher arrestato ce n’è subito un altro pronto a prenderne il posto. Un fatto che dimostra come sia quasi impossibile debellare il fenomeno. C’è poi l’aspetto legato alle coltivazioni indoor, che sono in grande crescita. Ormai la produzione di marijuana nel Palermitano è in enorme espansione: le organizzazioni criminali riescono a coprire la domanda di droga leggera, con la conseguenza che per l’«erba» non è più necessario ricorrere ai mercati esteri o di altre regioni.

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