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Il blitz di mafia a Palermo, l'acqua come il «pizzo»: venduta nei campi a 15 euro l'ora

Gli agricoltori costretti a fare il «contratto» con il clan piuttosto che con il consorzio pubblico

Fermo immagine dal video diffuso dalle forze dell'ordine

Le strade del denaro sono infinite... e oltre a quelle percorse da decenni, qualche entrata in più guardando verso altri orizzonti non si disdegna: può tornare utile l’autoincarico di mediatori immobiliari, mettendo becco nella vendita e nell'acquisto di case e terreni del quartiere, ma soprattutto gestendo l'irrigazione tanto fondamentale per quelle campagne. Il quadro emerge dall'ordinanza di custodia cautelare relativa all'inchiesta che venerdì scorso a Palermo ha mandato 29 persone in carcere e due agli arresti domiciliari, infliggendo un duro colpo alle famiglie  mafiose del mandamento di Brancaccio.

La mafia società di servizi che si sostituisce all’ente pubblico che è la legale fonte di approvvigionamento, per rifornire i coltivatori sempre assetati di acqua per le loro coltivazioni. Dietro pagamento imposto da preciso listino prezzi di Cosa Nostra, naturalmente. Rubare dal consorzio era sistema collaudato da tempo. L’acqua a scopo irriguo veniva deviata dalla condotta San Leonardo e incanalata in vasche dei clan in località Santa Zita e infine rivenduta ai contadini che pagavano una cifra compresa fra 13 euro e 50 centesimi e 15 euro per un’ora di erogazione.

«Il controllo esercitato dalla famiglia mafiosa di Ciaculli ha permesso di poter regolare il flusso della risorsa idrica decidendo nel prezzo ed è tenendo così un potere non solo economico ma anche di controllo sulla società», scrive il gip Lirio Conti nell’ordinanza. L’acqua sottratta al consorzio veniva infatti fornita agli utenti, che ne facevano oralmente richiesta ai sodali che si occupavano di tutta la pratica, dalle informazioni sui costi al servizio finale. L'unità di misura del flusso dell'acqua è la cosiddetta zappa, cioè lo strumento del contadino che da solo scava per il proprio fondo il canale (largo appunto quanto una zappa) dove poteva scorrere l'acqua. Negli introiti della famiglie c’era anche il ticket per la guardiania, ovvero il pagamento di 8 euro per ogni «tumolo» di terra. La modalità per derubare il consorzio era quella di aspirare l'acqua con un motore elettrico e convogliarla nei serbatoi in orario notturno, quando ti aveva regolarmente diritto ha finito di irrigare i propri campi. Ma qualche intoppo c’era stato.

«Io me ne sono andato perché a momenti devo andare a levare l’acqua - diceva, intercettato, Emanuele Prestifilippo, uno degli arrestati di martedì scorso-. A quanto pare sono quelli della San Leonardo che la vengono a chiudere… c’è chi li chiama». Qualcuno evidentemente avrebbe avvertito i responsabili del Consorzio.

Dagli agrumeti ai palazzi. L’organizzazione mafiosa avrebbe imposto le cosiddette sensalerie, delle vere e proprie mediazioni anche sulle compravendite di immobili nel territorio. «Appare quasi inutile sottolineare che i compensi relativi all'opera di intermediazione talvolta per la verità in concreto nemmeno svolta in minima parte - scrive il gip - hanno costituito in più occasioni una vera e propria imposizione illecita dei mafiosi alle parti interessate alle e compravendite e sono da inquadrarsi come delitti di estorsione».

Oltre alla classica richiesta di pizzo in occasione delle festività natalizie e pasquali, ha raccontato il pentito Sollima, la consorteria pretendeva dagli 800 ai mille euro per fare andare in porto una compravendita. Per veicolare questo genere di trattative e per sfuggire naturalmente alle intercettazioni telefoniche delle forze dell’ordine, i sensali avevano trovato un metodo anch'esso antico: comunicare con i pizzini. Lo fanno in un'occasione due indagati per scambiarsi un messaggio che riguarda la cessione di un magazzino. Il pezzo di carta con nome e indicazioni del locale in vendita, dopo essere stato letto e avere preso accordi, viene strappato in tanti pezzettini e lanciato fuori da un finestrino di un'auto in corsa sulla strada provinciale. Ma gli investigatori erano sulle tracce dell’indagato e lo hanno ricomposto con lo scotch, facendo riemergere il testo intero.

Francesco Greco (un altro degli arrestati) ed Emanuele Prestifilippo, secondo gli inquirenti, hanno messo in relazione numerose compravendite di immobili, facendosi pagare provvigioni calcolate nel 3 per cento del valore della transazione. Ovviamente, senza alcuna regolare iscrizione alla Camera di commercio. Qualche occasione sfuma. «Il sensale si deve sapere fare... un mestiere è - dice un indagato - A comprare e vendere pregiudizi non ce n'è...».

 

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