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Il «pizzino» letto e stracciato: così i mafiosi di Brancaccio comunicavano sugli affari immobiliari

I pezzettini di un foglietto gettati per strada. I carabinieri, che stavano seguendo tutto con le telecamere, vanno sul posto, raccolgono i frammenti di carta e ricostruiscono il messaggio

Un fermo immagine dal video diffuso dalla polizia e dai carabinieri

I «pizzini» restano sempre molto utili, ma adesso i mafiosi stanno attenti a distruggerli. Nell’ambito dell’inchiesta che ieri ha portato a 31 arresti nel mandamento di Brancaccio, a Palermo, un episodio svela il modus operandi di alcuni dei componenti dell’organizzazione per comunicare senza lasciare tracce. La Procura lo giudica un «episodio di rilevante valore investigativo che testimonia da un lato le modalità riservate di comunicazione adottate dai soggetti investigati, dall'altro l’interesse della consorteria mafiosa nello svolgimento di affari immobiliari».

Il fatto risale al febbraio del 2020. All’interno di un autolavaggio di via Conte Federico, nel quartiere Brancaccio di Palermo, uno degli arrestati di ieri, Andrea Seidita, entra in un container e ne esce con qualcosa che consegna a una persona dell’autolavaggio stesso. Questi a sua volta conserva tutto nella tasca del giubbotto. L’impianto è monitorato con la videosorveglianza dagli investigatori e la scena viene vista e desta la curiosità di chi controlla le telecamere.

Seidita va via e dopo un po’ la persona dell’autolavaggio chiama al telefono Emanuele Prestifilippo, un altro degli arrestati. «Me lo fai un favore?», gli dice. «Puoi venire qua da me un minuto?». E aggiunge con quella che per i magistrati è una scusa: «Ti devi venire a prendere l’auto di tuo cognato». Prestifilippo ha qualche difficoltà («In questo minuto sono nella spacca legna»), ma parla con un’altra persona e trova il modo di fare «una scappata». Infatti, qualche minuto dopo è già all’autolavaggio. Arrivato nella struttura di via Conte Federico, entra subito nel container, dove si trova già la persona che lo ha contattato. Quando viene fuori, Emanuele Prestifilippo ha in mano un foglio di carta. Lo strappa, ma senza gettarlo, entra in auto e va via.

La polizia giudiziaria lo segue, senza mai perderlo di vista, e a un certo punto si accorge che, sempre in via Conte Federico, Prestifilippo getta dal finestrino dei pezzi di carta. Sono i frammenti del «pizzino». I carabinieri raggiungono subito il luogo e raccolgono i pezzettini di carta fino a ricostruire gran parte del messaggio: «Ciao carissimo, volevo chiederti se puoi contattare quel ragazzo che deve vendere il magazzino, la casa, la t... Contattalo perché dice di avere una persona interessata per un pezzo di terreno e lui vorrebbe salire con un geometra della zona, così insieme possono identificare i terreni e pros... vendita. Ti mando un bacione».

Come sottolinea la Procura, l'episodio è importante anche perché conferma i sistemi non trasparenti nella gestione degli affari immobiliari. L’organizzazione mafiosa, dicono gli investigatori, imponeva anche le cosiddette sensalerie, ovvero un onere di mediazione sulle compravendite di immobili nel territorio. Chi voleva acquistare case e terreni, era costretto a pagare la mafia. Tanto che gli inquirenti hanno formulato per queste fattispecie l'accusa di estorsione.

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