«Sei solo un drogato di m…, ti ho avvisato, ora tu vai a prendere i soldi e non te lo dico più, io entro da tua madre e mi faccio dare i soldi». I pusher al servizio dei tre gruppi criminali di Carini specializzati nello spaccio di droga non usavano maniere da gentiluomini per recuperare i crediti vantati dai clienti. Nelle pagine dell’inchiesta sfociata giovedì nel blitz con 22 misure cautelari un ampio capitolo è dedicato ai sistemi utilizzati da capi e spacciatori per piazzare le dosi e tenere in ordine la contabilità.
In un dialogo intercettato dai carabinieri tra Andrea Giambanco, ritenuto il capo di una delle consorterie di narcotrafficanti, e il suo fedelissimo Luigi Cracchiolo si fa riferimento ai pesanti inviti rivolti a un tossicodipendente per saldare il conto. «So pure a chi ha domandato i soldi per darmeli, ho chiamato ventotto volte, fino a quando non gli ho mandato un messaggio - spiega Cracchiolo - alle tre e mezza mi ha detto “scusami altrimenti mi scopre…”. Quindi non è che gli mancano i soldi, è per non farsi scoprire da sua madre. Quello del mercatino l’ho assicutato per venti euro».
Sul fronte della droga consegnata con la promessa di un pagamento futuro, a potere decidere se concedere credito è il capo. Andrea Giambanco, in quanto unico finanziatore del sodalizio criminale, decideva a chi far credito tra i suoi acquirenti. Un particolare che emerge da una conversazione con Roberto Mannino, un altro pusher finito in manette nel blitz, in relazione alla richiesta di un cliente di pagare solo una parte della dose. Mannino, rifiutandosi di fare la consegna, dice all’acquirente: «Lui non c’è, non posso fare niente, se c’era lui», chiarendo che in assenza di Giambanco non aveva alcuna autonomia decisionale in questo senso. A volte i debitori raggiungono cifre importanti da saldare. Un tale deve restituire 1.200 euro per la roba comprata e cerca di fissare un appuntamento con Mannino per versare un acconto: «Mi fa “ma perché lui non c’è?” (Andrea Giambanco, ndr) ... “No, è andato a Palermo a sbrigare una cosa”».
Anche nel caso dell’altra organizzazione guidata da Giuseppe Mannino diversi clienti acquistavano la cocaina a debito con parola di saldare le somme dovute nel più breve tempo possibile. Talvolta i debiti raggiungevano somme non facilmente estinguibili e se pur insolute da diverso tempo, Mannino costantemente chiedeva se gli acquirenti avessero adempiuto ai loro debiti. Per il recupero dei crediti, spesso sarebbe intervenuto Giovanni Failla, uomo di estrema fiducia. C’è un’intercettazione in cui un uomo fa riferimento al saldo di una partita di droga per mille euro non pagata e chiede al capo l’intervento di Failla. In un’altra intercettazione, Giuseppe Mannino affronta a muso duro un cliente: «Giuse’, oggi se non mi chiudi il conto, oggi ti mando all’ospedale. Già lo senti a mio padre? La barella già l’hai pronta per il Cto, non ci ridere perché quello è bello incazzato nero. Cerchiamo di stringere, di stringere il sugo... perché altrimenti per la troppa spremuta ti viene la diarrea».
I metodi decisi per il recupero dei crediti sarebbero stati usati anche dal gruppo di Maurizio Di Stefano, con il quale avrebbero collaborato anche alcune donne. In un’intercettazione l’uomo parla di due agende in cui è tenuta la contabilità e fa riferimento a una cifra di circa quattromila euro da recuperare da diversi clienti.
Il giro di spaccio nella zona di Carini e nei vicini comuni di Isola delle Femmine, Capaci, Cinisi e Terrasini è grande. Anche per i singoli pusher, con paga settimanale, le possibilità di guadagno non sono di poco conto. Parlando con Luigi Cracchiolo, che afferma di non mettersi all’opera per meno di 200 euro a settimana, Andrea Giambanco precisa che la paga sarà legata al volume d’affari prodotto dal pusher: «Aspetta un minuto, facciamo un ragionamento insieme e tu mi dici non ti conviene o ti conviene. Ti do trecentocinquanta per il momento, però non ne parlare più... se tu vuoi ancora meglio... io te ne do ancora, hai capito? Tu non ti preoccupare, io ti porto a cinquecento euro alla settimana».
Gli investigatori, grazie a intercettazioni e pedinamenti, hanno documentato acquisti settimanali di cocaina sulla piazza palermitana per migliaia di euro, forniture di centinaia di grammi per volta, un conto da 21 mila euro da saldare. Per il gruppo di Andrea Giambanco i viaggi nella zona del Policlinico o a Ballarò per incontrare i grossisti erano frequenti. Ma non sempre la roba era di qualità. Il capo della banda di Carini si lamenta con il fornitore: «Guarda qua ci sono i pezzi che mi hanno portato indietro...». Anche perché poco prima aveva ricevuto una chiara comunicazione da uno dei suoi venditori sulla piazza, Luigi Cracchiolo: «Allora Andrea, ascoltami, la metà di quello che hai portato ancora c'è e te lo ritorno indietro. Ti vieni a prendere i soldi e sta metà delle cose e non mi portare più niente perché io non mi faccio prendere per il culo da nessuno, Andrea». Nelle intercettazioni si parla di varietà perlata, di crack, di stupefacenti che hanno un marchio a forma di toro. «Si chiama semi perlata, è come quella che ho preso oggi io, ha lo stemma del toro, il toro stampato», spiega il grossista.
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