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In Sicilia uno statuto ormai antico, Buscemi racconta "L'autonomia della discordia"

Uno statuto che ha ormai esaurito il suo compito e che non può più andare incontro alle prospettive di cinque milioni di persone. Il nuovo libro «L’autonomia della discordia» di Lino Buscemi avvocato, giornalista e professore, è stato presentato a Palermo in piazzetta Bagnasco con la partecipazione dell’Ad di Gesap Vito Riggio, il direttore del Giornale di Sicilia Marco Romano, l’assessore comunale alla Cultura Gianpiero Cannella e Antonio Riolo già segretario regionale della Cgil.

Il volume analizza e riporta alla ribalta il pensiero dello storico e politico siciliano Francesco Renda, grande amante della sua terra tanto da averne una visione disincantata e scevra da ogni orpello che, spesso, accompagna i siculi: lo storico, morto nel maggio del 2013, ha da sempre combattuto lo statuto siciliano, «scritto in 45 giorni per evitare che la spinta separatista avesse la meglio», spiega Buscemi durante la presentazione. «Sfatiamo il mito che se non fosse stato per la mafia gli americani non sarebbero sbarcati - prosegue -, perché non si può pensare che in una delle più grandi battaglie, che ha visto l’impiego di 800 mila uomini tra americani, inglesi e tedeschi, soggetti come Lucky Luciano abbiano giocato un ruolo da protagonisti. Fu Churchill a volere lo sbarco qui in Sicilia». Una volta arrivati sul suolo siciliano, gli americani avrebbero messo dei propri uomini nei centri di potere, e i servizi segreti avrebbero foraggiato la prospettiva indipendentista nell’Isola. Questo fece scattare l’attenzione di «quella mafia che veniva data per sconfitta dal governo fascista - prosegue Buscemi - ma così non era evidentemente. All’armistizio dell’otto settembre (che appunto sancisce nel 1943 il disimpegno dell’Italia dall’alleanza con Hitler), gli americani dissero al re Vittorio Emanuele III di Savoia che se avesse voluto la Sicilia avrebbe dovuto dichiarare guerra alla Germania. Così, la prospettiva cambia, non è più separarsi, ma unirsi con il Paese: ecco che in fretta e furia venne scritto la Statuto, portato come un testo sacro. Ma l’autonomia ci ha sempre reso zoppi».

Un testo espressione delle esigenze storiche del 1946, che ad oggi molti analisti definiscono di valore inferiore a statuti di regioni ordinarie. A 77 anni dalla stesura della Carta, Buscemi solleva la necessità di liquidare strumenti obsoleti per creare nuove prospettive: «Renda diceva - continua Buscemi - che, tra gli altri, l’articolo 14 e 15 hanno creato una condizione di non governo. Noi ci priviamo dei benefici di una legge dello Stato, così come dell’Ue, in settori chiave dell’economia».

«Siamo in un tempo in cui stiamo facendo il funerale al nostro statuto - afferma Marco Romano, direttore del Giornale di Sicilia -. La storia ci dirà se si è suicidato o se è stato ucciso. Ho sentito decantare le lodi da tutti, esponenti di destra, sinistra, centro. Che parlavano di autonomia di tributi e poi si presentavano con il piattino dai propri referenti politici a Roma». Parole a cui si aggancia Vito Riggio: «Dopo 77 anni il problema è che l’autonomia non ha funzionato. Ma anche l’amministrazione. Senza questa, non funziona neanche una buona legge. Da noi l’autonomia non si misura con i risultati ottenuti e non, con una visione. Non si affrontano i problemi e si recitano slogan: ma ci chiediamo se siamo fondamentali. Se siamo realmente al centro del Mediterraneo».

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