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Riscatto e lavoro: ecco i detenuti che hanno realizzato il carro di Santa Rosalia

Chi sono Ihattur, Fabio, Carmelo, Marco, Antonio, Massimo, Francesco, Gazmet, Mario, Salvatore, Bruno? Volti di uomini detenuti che nel carcere dell’Ucciardone a Palermo stanno scontando il loro conto con la giustizia.

Quest’anno dalle loro mani è nato il carro di Santa Rosalia, che sfilerà domani per il centro di Palermo. Il direttore Lollo Franco ha voluto affidare ai detenuti la realizzazione del carro della Santuzza, «il sacro carro della condivisione e del riscatto».

Dalle mani dei detenuti è nato tutto, mettendo insieme ferro, legno e colori. La “Fondazione Buttitta” ha documentato il lavoro fatto dentro il carcere e che, in anteprima il Giornale di Sicilia vi propone. «Ognuno dei detenuti, con storie e appartenenze molto diverse, sono uniti da quel “tempo”, dedicato al lavoro per la realizzazione del carro, che per loro ha rappresentato l’unico modo possibile per dire “possiamo essere ancora utili, siamo parte di questa società per cui stiamo lavorando”»ha detto Monica Modica Buttitta, che ha coordinato il lavoro di documentazione.

«Uno degli aspetti maggiormente rilevanti nel lavoro che abbiamo svolto ha riguardato, indubbiamente, il confronto con i detenuti al fine di restituire in maniera adeguata il loro punto di vista in relazione a un tema particolarmente importante quale il loro rapporto con la dimensione festiva in una ottica di riscatto. In tal senso seppur immersi nel tempo sospeso della detenzione hanno avuto la possibilità di rivivere un contesto festivo che come è noto offre una serie di rassicurazioni simboliche non altrimenti esperibili»ha detto Antonino Frenda, collaboratore al progetto della “Fondazione Buttitta”. «Abituati come siamo a una visione spettacolarizzata delle feste religiose tradizionali, quest’anno il carro di Rosalia realizzato e portato dai detenuti infrange a suo modo una visione accomodante e turistica del festino riportando prepotentemente alla luce uno dei valori simbolico-rituali oggi meno appariscenti anzi sommersi della sacralità tradizionale, ovvero la necessità di rapportarsi al trascendente per essere e continuare a essere nella storia».

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