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Le scommesse il grande business della mafia: 8 arresti a Palermo, sequestrate imprese e agenzie

Il grande business della mafia a Palermo: le scommesse. I boss avevano messo le mani su un business da almeno 100 milioni di euro, con un "insospettabile" al servizio dei clan in Sicilia. Su delega della Procura della Repubblica di Palermo – Direzione distrettuale antimafia, i finanzieri del Comando provinciale hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di applicazione di misure cautelari emessa dal Gip del Tribunale nei confronti di 10 persone, cinque delle quali finite in carcere. Si tratta di Francesco Paolo Maniscalto, Salvatore Sorrentino, Salvatore Rubino, Vincenzo Fiore  e  Christian Tortora. Altri tre sono stati sottoposti agli arresti domiciliari: Giuseppe Rubino, Antonino Maniscalco e Girolamo Di Marzio.

A vario titolo sono indagati per la partecipazione e il concorso esterno mafioso, riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori, questi ultimi reati aggravati dalla finalità di aver favorito le articolazioni mafiose cittadine.

Nei confronti dei fratelli Elio Camilleri  e Maurizio Camilleri è stata invece applicata la misura del divieto di dimora nel territorio del comune di Palermo. Ma non solo: il Gip ha disposto anche il sequestro preventivo dell’intero capitale sociale e del relativo complesso aziendale di 8 imprese, con sede in Sicilia, Lombardia, Lazio e Campania, cinque delle quali titolari di concessioni governative e di 9 agenzie di scommesse tra Palermo, Napoli e la provincia di Salerno, attualmente gestite direttamente dalle aziende riconducibili agli indagati, per un valore complessivo stimato in circa 40 milioni di euro.

Le attività economiche, secondo quanto appurato dalle indagini, sarebbero state strategicamente dirette da soggetti appartenenti e contigui a Cosa Nostra, finanziate attraverso il riciclaggio di risorse della mafia.

A eseguire il provvedimento 200 militari della guardia di finanza dei reparti di Palermo, Milano, Roma, Napoli e Salerno: effettuate decine di perquisizioni oltre che in Sicilia, anche in Campania, nel Lazio e in Lombardia.

LE IMPRESE. Le indagini degli specialisti antimafia del Gico del Nucleo di polizia economico - finanziaria di Palermo, seguite da un pool di sostituti coordinati dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca, hanno svelato gli interessi dei boss per le scommesse. Ma hanno messo in luce anche l’esistenza di un gruppo di imprese che gravitava intorno alle figure centrali di Francesco Paolo Maniscalco, già condannato per la sua organicità alla famiglia di Palermo Centro, e di Salvatore Rubino che avrebbe messo a disposizione dei clan le sue capacità imprenditoriali per riciclare denaro di origine illecita e per gestire la raccolta delle scommesse. La mafia sarebbe così riuscita ad “infiltrarsi” nell’economia “legale” attraverso il controllo di imprese – in particolare attraverso Vincenzo Fiore e Christian Tortora - riuscendo a partecipare a bandi pubblici per le concessioni statali rilasciate dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

PORTA NUOVA E PAGLIARELLI. L’inchiesta ha svelato il “progetto aziendale” mafioso messo in atto dai mandamenti di Porta Nuova e Pagliarelli. Per opera del cassiere pro tempore, i boss hanno investito, ottenendone profitto, liquidità destinate anche al sostentamento dei carcerati. Dal mandamento di Pagliarelli sarebbero state acquistate quote societarie attraverso i fratelli Camilleri, imprenditori vicini al reggente, con un investimento poi liquidato a causa di dissidi interni, con l’erogazione, in più tranche, di oltre 500.000 euro.

I SUMMIT. Nel corso delle indagini sono stati monitorati gli esiti di diversi summit mafiosi ai quali hanno partecipato anche i massimi vertici del mandamento Pagliarelli, Settimo Mineo e Salvatore Sorrentino, chiamati in causa proprio per dirimere alcuni contrasti relativi alla fase di liquidazione degli investimenti.

L'IMPERO ECONOMICO. Negli anni, grazie alla loro abilità imprenditoriale e ai vantaggi derivanti dalla “vicinanza” ai clan, gli indagati hanno acquisito la disponibilità di un numero sempre maggiore di licenze e concessioni per l’esercizio della raccolta delle scommesse, fino alla creazione di un “impero economico” costituito da imprese – formalmente intestate a prestanomi compiacenti tra i quali Antonino Maniscalco e Girolamo Di Marzo - che complessivamente nel tempo sono giunte a gestire volumi di gioco per circa 100 milioni di euro.

Il comandante del Nucleo di polizia Economico-Finanziaria della guardia di finanza di Palermo Gianluca Angelini non ha dubbi: "Colpire gli interessi economici di Cosa nostra deve essere un'azione sistematica e complementare rispetto al tradizionale contrasto di tipo militare. Lo scopo è limitare la pericolosità criminale che deriva dalle riserve di capitali illeciti che possono essere impiegati per ripristinare l'operatività della struttura mafiosa colpita dagli arresti".

Un business stimato dagli inquirenti in 100 milioni di euro l'anno. "L'obiettivo è sottrarre al mafioso ogni beneficio economico derivante dalla propria azione criminosa. Oggi più che mai per scovare Cosa nostra bisogna seguire il denaro e i flussi finanziari", conclude.

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