Pale di fichi d’india, fichi d’india caramellati. Ecco il nuovo gusto di gelato che ha anche una importante valenza: è stato chiamato il “Gelato dell’integrazione”, il gusto che unisce i popoli del Mediterraneo.
E’ stato realizzato dal maestro di Cerda Antonio Cappadonia, direttore tecnico dello Sherbeth Festival, insieme ad Arnaldo Conforto, direttore di produzione di Sherbeth Palermo.
“Volevamo lasciare un segno tangibile di questa decima edizione del Festival – dice Cappadonia – Abbiamo scelto elementi poveri, ma presenti in tutta l’area del Mediterraneo, più volte agli onori delle cronache per le tragedie che si sono consumate”. Di un verde appena accennato, il gelato è stato realizzato con pale di fichi d’india, datteri e fichi d’india caramellati. Sapori genuini e particolari per un gelato con un bassissimo contenuto di zuccheri.
Per l’occasione è stato presentato anche il gelato realizzato con il frutto del baobab, un gelato realizzato per la prima volta nel mondo. A realizzare il gelato il maestro toscano di origine siciliana Gianfrancesco Cutelli della gelateria De Coltelli di Pisa. Al frutto del baobab è stato abbinato lo zenzero candito. Il frutto del baobab ha un sapore molto agrumato, simile al limone o al lime. Ma si tratta di un gelato con un alto potere antiossidante ricco di composti fenolici, un gelato che fa bene alla salute. A partecipare al talk, moderato dalla giornalista di Repubblica Eleonora Cozzella, hanno partecipato anche Nadie Abadia, consigliere consulta delle Culture e responsabile comunità tunisina e Alamin Md, consigliere consulta delle Culture.
A Sherbeth anche la storia di Estelle Konan, della Costa d’Avorio. La sua è una storia che andrebbe raccontata in tutte le scuole. Estelle, infatti, in Costa d’Avorio è stata la prima donna presidente di una cooperativa che si occupa della coltivazione in biologico del cacao.
“Per una donna non è facile emergere in un settore dove a comandare sono gli uomini – racconta Estelle al pubblico di Sherbeth – Nel mondo del cacao c’erano solo uomini al comando; le donne lavoravano nelle retrovie. Io, che mi ero specializzata in finanza e amministrazione, quando ho preso il timone della cooperativa, ho dovuto superare la diffidenza di 35 soci, tutti uomini e più grandi di me. Non è stato facile, ma ci sono riuscita. Oggi il nostro cacao, coltivato in biologico, nel rispetto dell’ambiente e dei lavoratori, è conosciuto in tutto il mondo. Perché lo dico sempre, non esiste un lavoro da uomini o un lavoro da donna: esiste il lavoro e basta. E la voglia di aiutarsi l’un l’altro per competere nei mercati”.
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