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Il crac di Blutec e il mancato rilancio del polo di Termini, condannato a 7 anni Ginatta

I legali dell'imprenditore: «Un capro espiatorio, faremo appello»

L’imprenditore Roberto Ginatta è stato condannato dal Tribunale di Torino a 7 anni per il crac Blutec. Assolti, perché il fatto non sussiste, il figlio Matteo Orlando e la segretaria Giovanna Desiderato. I pm Laura Longo, Francesco Pelosi e Vito Destito avevano chiesto per l’ex patron una condanna a 9 anni, per il figlio a 5 e per la segretaria a 2 anni e 8 mesi.

Il processo era legato al mancato rilancio del polo di Termini Imerese. Per l’accusa Ginatta, difeso dagli avvocati Nicola Menardo e Maurizio Briamonte aveva dirottato 16 milioni di euro di contributi statali per l’operazione in un «investimento di stretto interesse della famiglia».

Secondo i magistrati Ginatta non avrebbe mai avuto la volontà di realizzare i progetti. L’ex patron di Blutec era anche accusato di riciclaggio per aver investito parte dei proventi illeciti in altre divisioni del gruppo. Ginatta è stato condannato a risarcire, tra le parti civili, la Regione Siciliana, l’assessorato regionale delle attività produttive per 16 milioni di euro, la Fiom nazionale per 25 mila euro, la Fiom Palermo per 25 mila euro.

«Rispettiamo la sentenza ma non la condividiamo e sicuramente presenteremo appello - commentano gli avvocati Michele Briamonte e Nicola Menardo dello studio Grande Stevens, legali di Roberto Ginatta - I gradi di giudizio sono tre, non siamo dunque neppure a metà strada di questo lungo percorso e siamo certi che alla fine il fallimento del progetto Termini Imerese si rivelerà per ciò che è: figlio di una politica industriale schizofrenica e dell’inadeguatezza delle istituzioni che dovevano contribuire a realizzarlo». «Rimane la sensazione - concludono i legali - che Roberto Ginatta sia stato il capro espiatorio ideale da dare in pasto all’opinione pubblica per alleggerire gravi responsabilità altrui».

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