Il Festino fatto di prescia e di premura, il primo targato Roberto Lagalla, passa la prova senza intoppi. Tutto fila liscio nel giorno in cui Palermo si stringe attorno alla sua santa protettrice che sul carro trionfale gira come un carillon. «Canto contro la peste», il titolo che è stato appiccicato alla kermesse, suona come un augurio, visto il tremore per i contagi in risalita denunciati dagli ospedali. Ma bisogna pure andare avanti, sfidare - sebbene con prudenza - un nemico invisibile che ha tenuto l’umanità in ostaggio troppo a lungo. Qui nessuno sembra curarsi del pericolo, pochi utilizzano la mascherina nonostante i volontari ne distribuiscano a decine. La patrona di Palermo ha il suo tripudio, fatto di ardore e fede popolare, il primo dopo due anni di fermo. È stata un’edizione, la numero 398, caratterizzata da timore e speranza per l’ambaradan messo in piedi e che necessariamente, da quasi 400 anni a questa parte, contempla assembramenti, folla, affluenza, ressa, fiati e sudori. Ma questo è il Festino, signori, prendere o lasciare. Non ci sono vie di mezzo. Il Cassaro è necessariamente una fiumana di gente che lentamente accompagna Rosalia sino a Porta Felice. Diversamente sarebbe come pretendere una Formula 1 col limite di velocità, il Palio di Siena senza cavalli, il festival di Sanremo senza canzoni.
Sopra l’arco di Porta Nuova la potente voce di Egle Mazzamuto intona una invocazione che somiglia a una nenia. Poi, alle 20.43, il carro si muove, scende, si anima. E va veloce. Del resto non ci sono spettacoli da mettere inscena, ma solamente momenti artistici lungo il tragitto che scende verso il mare. Qualcuno azzarda che siano state duecentomila le persone accorse sul piano di Palazzo Reale, dove la fanfara dei bersaglieri intona prima una marcia e dopo l’inno nazionale, poi giù alla cattedrale dove cantano le voci bianche e via via lungo corso Vittorio Emanuele, che al passaggio della maestà del carro su cui c’è l’orchestra del conservatorio si accende di mille luci, come il giorno che spinge via la notte, la santa che scaccia la peste, il bene che vince sul male, l’umanità che ha la meglio sulla pandemia.
L’arcivescovo Corrado Lorefice sale sul carro e alla seconda tappa invita a prendersi cura della città «cominciando a gettare le cartacce dei rifiuti in un cestino». Invita a usare la mascherina, ma non è un suggerimento accolto da tutti. Parla di una città «piena di ferite che ha bisogno di rialzarsi», infine invoca la benedizione di Rosalia. Il sindaco, vestito grigio e flemma abituale, si muove con disinvoltura per essere al primo appuntamento col 14 luglio. Ma ammette: «È una grande emozione». Appresso alla Santa, a precedere il corteo, lui sta insieme a medici in camice, infermieri, uomini del 118, crocerossine, vigili del fuoco, protezione civile. Insomma i rappresentanti di quelle categorie che durante il periodo buio e profondo del lockdown erano gli unici che sfidavano la virulenza della malattia, spesso costeggiando l’eroismo, spesso incarnando il martirio. Insomma, questa manifestazione ha voluto essere una sfida aperta al senso di precarietà che aleggia sulle nostre vite.
Questo Festino cerca di mandare in soffitta la malinconica percezione delle vite traballanti, diventa un antidoto alla morte, come la letteratura lo era per Elias Canetti. Del resto, il palermitano, senza questa giornata di fede era come privato del suo punto di riferimento. Era come abbattuto, sconfortato, demoralizzato, vulnerabile, diffidente, minacciato da mille pericoli. Ieri è come se tutte le paure fossero svanite. Forse non c’era la folla debordante delle precedenti edizioni, ma sul Cassaro è sicuro che si stava stretti. Duecentomila secondo le stime, sicuramente meno rispetto alle edizioni ante- Covid. L’aria è allegra, il clima clemente, ognuno ci ha messo del suo in questa kermesse della ripartenza. Tutti gli artisti sono qui a titolo gratuito, un omaggio alla Santuzza, ovviamente, prima ancora che al Comune il quale, senza il becco di un quattrino in cassa, ha dovuto fare di necessità virtù chiamando a raccolta musicisti, attori, enti e istituzioni culturali. Ognuno ha fatto la sua parte. Roberto Lagalla torreggia tra la folla. La stazza non gli consente di avere, per così dire, un basso profilo al punto che hanno dovuto modificare l’arco e il parapetto del carro per accoglierlo. È sindaco da un mese e già è alla prova del popolo che lo attende ai Quattro Canti. Dove l’affannato caravanserraglio giunge poco dopo le 22, un record. Ma il sindaco voleva questo, puntualità. A un certo punto si era impensierito: «Andiamo troppo lenti». Ma no, il carro si ferma, l’orchestra intona un canto, Salvo Piparo (interpreta Nofriu) racconta la vita di Rosalia Sinibaldi e infine annuncia che Palermo è libera dalla peste. Ed eccoci al clou. Lagalla sale sul carro e con lui Toti Amato, presidente dell’Ordine dei medici, e l’infermiera Giulia Citarrella che si è distinta per avere portato i vaccini fra gli invisibili e i diseredati. Ognuno grida un liberatorio: «Viva Palermo e Santa Rosalia». Applausi. Tira un sospiro di sollievo anche Maurizio Carta, il professore universitario chiamato a fare il regista di una festa low cost che non gli ha dato tregua. La folla s’allarga, sciama verso il Foro Italico, prende aria. Ora i giochi pirotecnici possono illuminare la città, fra mare e cielo, finalmente in un orario civile.
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