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Siccità in Sicilia, scenari da incubo per cibo e bestiame

È il quadro tracciato dall’assessorato regionale: a rischio agrumi e vitigni

Giallo, arancione e rosso, con perdite di coltivazioni e reddito che, nel passaggio tra un colore e l’altro, vanno dal 30 all’80%, fino a sfiorare, nella peggiore delle ipotesi, un tracollo da 2,7 miliardi di euro: è il quadro (nero) tracciato sull’agricoltura siciliana dal dirigente dell’assessorato regionale al ramo, nonché commissario per l’emergenza siccità nell’Isola, Dario Cartabellotta, allegato alla richiesta dello stato di emergenza nazionale inviata da Palazzo d’Orleans a Roma e declinato su tre scenari possibili da qui alla prossima estate. Scenario giallo: se nei mesi di aprile e maggio la piovosità sarà talmente abbondante da ricostituire le riserve idriche (dighe, laghetti e falde), la perdita sarà pari a circa il 30% del prodotto, equivalente all’ammontare del danno già avvenuto e non più recuperabile. In questo caso, il più roseo, andrebbe in fumo oltre un miliardo di euro, che salirebbe a quota 1,6 nello scenario arancione, e cioè nel caso in cui, tra questo e il prossimo mese, le piogge si rivelassero insufficienti a ricostituire i bacini, consentendo comunque alle colture di terminare il ciclo.

In questo orizzonte, la perdita si aggirerebbe intorno a 50%. Infine, il rosso, che scatterebbe in caso di precipitazioni assenti da qui all’alba dell’estate: «la situazione sarebbe disastrosa, con stime di perdite superiori all’80%, compromissione delle colture permanenti (agrumi, fruttiferi, vite) e moria diffusa del bestiame con relative problematiche di ordine sanitario». Beninteso, il condizionale è d’obbligo per tutte e tre le fotografie, ma è certo che una su tre si svilupperà, e la terza, con tutti gli scongiuri del caso, non può essere esclusa, tanto che, a quanto appreso dal nostro giornale, si sta già pensando di far leva sulla misura comunitaria 5.2 «Ripristino del potenziale produttivo agricolo danneggiato da calamità naturali», che prevede la «ricostruzione del patrimonio zootecnico danneggiato o distrutto dall’evento catastrofico»: un regolamento che, tradotto in altri termini, potrebbe dare dei contributi per abbattere i capi di bestiame prima che essi muoiano per non farli soffrire, anche se bisognerebbe dimostrare il nesso caldo-morte dell’animale.

Proprio il settore zootecnico, in caso di allarme rosso, sarebbe tra i più colpiti, con deficit da 300 milioni di euro, ma non se la passerebbero meglio i comparti vitivinicolo e agrumicolo, con ammanchi, rispettivamente, stimati in 520 e 350 milioni, mentre le aziende che coltivano alberi da frutto, cereali e olivi, subirebbero batoste da 403, 230 e 148 milioni, con le ortive che arriverebbero addirittura a meno 700 milioni di euro. Cifre che fanno rabbrividire, ma non stupiscono più di tanto il vicepresidente di Coldiretti Sicilia, Ignazio Gibiino, convinto che l’agricoltura dell’Isola sia «già entrata nello scenario arancione, con perdite irreversibili del 50%. Per capirlo basta guardare il grano, che in alcune zone del territorio è già in fase di spigatura» - neanche fosse fine maggio - «se non già “bruciato” dal caldo e dalla mancanza di pioggia, come sta avvenendo nell’Ennese e nell’Agrigentino e nel Catanese. Per non parlare delle ortive, sulle quali aleggia lo spettro del taglio d’acqua a giugno da parte dei Consorzi di bonifica per carenza di risorsa idrica in bacini come il Furore (Naro-Agrigento), o dei vitigni, che a maggio, se pioverà, tra caldo e umidità ripiomberà nell’incubo peronospora.
Insomma, se non vogliamo arrivare al game over del settore, bisogna trovare soluzioni, e alla svelta». Soluzioni che per Legambiente Sicilia, non possono essere quelle messe in campo dalla Regione, tra interventi negli invasi, dissalatori e autobotti, con «cifre astronomiche per opere altrettanto esagerate» - nel dossier inviato a Roma si parla di 720 milioni – e «riproposizione di progetti vetusti e logiche superate da decenni», mentre «manca del tutto una seria politica volta a assicurare la corretta depurazione dei reflui, in troppi casi o non depurati o depurati male. Reflui che potrebbero, invece, rappresentare una risorsa eccezionale per il mondo agricolo». Da questo punto di vista, come ricorda l’assessore regionale all’Energia, Roberto Di Mauro, «con il decreto che ho firmato a febbraio, che consente il riutilizzo in agricoltura delle acque reflue urbane depurate, la Sicilia è diventata apripista in Italia nell’attuare la direttiva Ue. Fatta la legge, bisogna però realizzare le condutture che collegano i depuratori alle campagne, attività in capo ai gestori del servizio idrico come l’Amap». Ma bisogna pure mettere in regola le 391 macchine depuranti attive nell’Isola, 130 delle quali, secondo gli ultimi dai Arpa, non conformi allo scarico

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