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Palermo, il direttore sanitario di Villa Sofia e Cervello: «La paura è che qualcuno ci uccida»

Ilaria Dilena dopo l'aggressione al medico Alfredo Caputo: «Il personale ha minacciato le dimissioni di massa? È una provocazione dovuta all’amarezza e pure una richiesta d’aiuto»

Gli occhi sono lucidi quando parla del collega aggredito. La voce è sottile, ma ferma. «Gli operatori sanitari si sentono particolarmente esposti. Sono scoraggiati e sconfortati. I medici non vanno a lavorare per arrecare un danno ai cittadini, escono da casa perché vogliono dare risposte ai bisogni di cura. Ma vogliamo essere rispettati e non oggetto di inaudite violenze». Ilaria Dilena, direttore sanitario dei presidi Villa Sofia-Cervello, racconta il clima che vive il nosocomio dopo l’ennesima aggressione ai danni di un operatore sanitario. Un clima governato dalla paura.

«C’è il timore di lavorare in contesti meno affollati perché il pensiero che qualcuno possa ucciderti o ferirti brutalmente è forte, una paura assolutamente giustificata», ammette Dilena. Secondo cui parlare solo di sicurezza è riduttivo: «Serve un approccio di sistema. Le strutture sanitarie non si possono blindare. Sicuramente incrementare la vigilanza può essere un deterrente, ma non basterà mai. Il problema è culturale».

Il direttore parla di prevenzione. «Bisogna prevenire, recuperare la fiducia tra i cittadini e gli operatori sanitari. Un rapporto di fiducia venuto meno anche perché i sanitari si trovano sempre più stanchi nell’affrontare la loro professione per una serie di problemi che investono la sanità pubblica, questa è la realtà e dobbiamo dirlo. È una responsabilità di sistema. Siamo qui per prenderci cura dei pazienti, ma abbiamo bisogno di essere rispettati perché dobbiamo recuperare la serenità che manca». I medici hanno minacciato le dimissioni di massa: «È una provocazione che nasce dallo sconforto e dall’amarezza, ma è una richiesta d’aiuto alle istituzioni. La sanità non si autogoverna. Esistono istituzioni che hanno il compito di trovare soluzioni normative che possano essere d’aiuto», prosegue il direttore.

La prognosi di Caputo non è ancora stata definita ma il primario non potrà tornare a lavorare almeno per i prossimi 20 o 30 giorni, creando un vuoto in un posto molto delicato. «Ecco quali sono le conseguenze di simili intollerabili gesti che nuocciono all’intera comunità. Ora bisogna riorganizzare l’agenda che afferiva alla professionalità di Caputo, che si occupa di biopsia alla tiroide, un esame delicato. Stiamo ricomponendo l’attività, ma a pagarne le conseguenze è tutta la comunità destinataria dei servizi», aggiunge Dilena.

Ieri pomeriggio (23 febbraio) il commissario dell’ospedale Roberto Colletti ha incontrato le organizzazioni sindacali che nei giorni scorsi hanno annunciato nuove iniziative se il prefetto Mariani non dovesse riceverle in tempi stretti. Non un incontro operativo ma più che altro teso ad esprimere solidarietà e vicinanza. Giovanni Cammuca, segretario generale Fp Cgil, presente all’incontro, ha sottolineato che «è necessario ripristinare i posti di polizia negli ospedali, presidiare, anche a mezzo di videosorveglianza gli ingressi, formare il personale ed educare, sin dai percorsi scolastici, al bene prezioso rappresentato dalla sanità pubblica ed al rispetto di chi lavora per tutelarlo».

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