Cinque l’hanno già ricevuto e altri, tra i quasi 5000 gestori e preposti di pub, ristoranti e locali di Palermo, dove vengono vendute bibite e alcolici, potrebbero avere la stessa amara sorpresa: licenza revocata in virtù di condanne e precedenti penali di storia recente. Il censimento sulla «buona condotta» è opera di una task force messa su all’assessorato comunale alle Attività produttive, che sta passando al setaccio la banca dati antimafia, i carichi pendenti e i casellari giudiziari degli esercenti.
La concessione della Scia, la certificazione che di fatto autorizza l’apertura di un’attività, può decadere proprio anche a seguito di condanne per reati anche apparentemente non gravi, sicuramente meno del 416 bis, associazione mafiosa: spaccio, evasione, maltrattamenti, aggressione a pubblico ufficiale, furto. Ma una ricognizione reale non era mai stata fatta. La Scia è un’autocertificazione corredata da allegati che contengano i requisiti soggettivi (morali e professionali se richiesti per lo svolgimento di determinate attività). E i requisiti oggettivi previsti dalla legge a seconda del tipo di attività economica da avviare, attinenti per esempio alla conformità urbanistica, edilizia, igienico-sanitaria, ambientale dei locali o delle attrezzature aziendali. Oggi è possibile non attendere l’avviso orale del questore, che in genere opera le chiusure se nel locale viene notata una frequenza esponenziale di pregiudicati o se si sospetta che possa essere ritrovo di spacciatori. Il Comune sta facendo la sua parte in autonomia e può decidere se staccare la spina.
«Questa task force segna un cambio di passo sul fronte dei controlli degli esercizi commerciali, avendo sempre come principale obiettivo quello che gli operatori del settore possano svolgere la propria attività nella legalità - commenta il sindaco Roberto Lagalla- . Queste verifiche rappresentano un beneficio sia nei confronti di chi opera nel rispetto delle regole, ma una garanzia di sicurezza anche nei confronti dei fruitori dei locali». Dopo un ampio confronto con il questore ed il prefetto, il Comune ha fatto ulteriori approfondimenti sui presupposti per poter legittimamente revocare un'autorizzazione commerciale rilasciata per l'attività di somministrazione di cibi e bevande, per sopravvenuto difetto del requisito della «buona condotta» stabilito da leggi e norme. Punto di partenza una sentenza della Consulta del 16 dicembre 1993, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 11 soltanto nella parte in cui l'onere di provare la buona condotta debba ricadere sul soggetto richiedente la licenza. È invece l’Amministrazione a entrare nel merito e a dare la pagella: promosso o bocciato.
«Attraverso questa nuova possibilità di esaminare le autorizzazioni per i pubblici esercizi - dice l’assessore Giuliano Forzinetti - , l'Amministrazione diventa parte attiva in un processo importante di legalità, trasparenza e rispetto delle regole, che fino adesso veniva posto in essere soltanto in modo passivo, a seguito di sollecitazioni della questura e degli organi giudiziari». Secondo l’articolo 11, le autorizzazioni debbono essere negate a chi ha riportato una condanna superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione; a chi è sottoposto all'ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza. Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare le condizioni alle quali sono subordinate e quando sopraggiungono circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione. È già successo, seppur in un contesto diverso e grazie ad una decisione del Cga, che ha negato al titolare di una officina di occuparsi delle auto della polizia. Quindici anni prima, era stato condannato a (soli) 4 mesi per non aver denunciato i suoi estortori. «Non ha i requisiti morali», addio lavoro.
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