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Dopo il blitz di Palermo anche la polizia avverte: «L'ergastolo ostativo non si tocca»

Francesco Messina, direttore centrale Anticrimine della Polizia di Stato (foto di Alessandro Fucarini)

«Oggi si sta mettendo in discussione l’opportunità dell’ergastolo ostativo anche per chi appartiene all’organizzazione criminale mafiosa. Un’indagine come quella nel quartiere Noce dimostra che la rieducazione del condannato per chi ha fatto una scelta di appartenere a un’organizzazione strutturata come Cosa Nostra non ha alcun effetto. Questo deve fare riflettere». Lo ha detto il capo della Direzione Centrale anticrimine (Dac) della polizia, Francesco Messina, a Palermo per l’operazione della polizia «Intero Mandamento» che ha portato a 9 arresti. «Si tratta - aggiunge Messina - per la maggior parte di soggetti che avevano cariche direttive già negli anni passati, hanno scontato la loro pena con provvedimento definitivo di condanna e sono tornati a fare esattamente quello che facevano prima. Questo vuol dire che i legami con la struttura mafiosa non vengono recisi dal carcere che è quello che dovrebbe accadere se non a patto dell’introduzione di un regime speciale. Io sono convinto che queste indagini rappresentino un punto di riflessione in relazione all’idea di modificare il trattamento carcerario e di consentire addirittura l’abolizione dell’ergastolo ostativo per chi ha fatto parte dell’organizzazione mafiosa».

Dichiarazioni che arrivano proprio nel momento in cui il dibattito sull’ergastolo ostativo entra nel vivo. «Mi congratulo con la Procura di Palermo e con la polizia di Stato per il blitz contro il mandamento mafioso della Noce. Ma, come ha messo in evidenza il direttore centrale anticrimine della Polizia di Stato, Francesco Messina, non possiamo tacere dinanzi al fatto che, anche da questa indagine, è emerso con chiarezza che spesso la sola detenzione non risulta sufficiente a recidere il legame tra il detenuto e l’organizzazione mafiosa», commenta il deputato del Pd Carmelo Miceli, componente delle commissioni Antimafia e Giustizia. «È per questo - aggiunge - che chiedo a tutte le forze politiche, senza distinzione di colore, di completare immediatamente il percorso di riforma dell’ergastolo ostativo, così da rendere legge tutte quelle condizioni che obbligano i detenuti condannati all’ergastolo per reati di mafia a dare dimostrazione effettiva della interruzione di ogni legame con la consorteria criminale di appartenenza. Se vogliamo davvero onorare i dottori Falcone, Morvillo, Borsellino, gli uomini delle loro scorte e tutte le vittime innocenti di mafia dobbiamo passare dall’antimafia parolaia ai fatti». E per Carmelo Miceli, «i fatti si fanno soprattutto con leggi che impediscano di vanificare l’impegno e il lavoro della magistratura e delle forze dell’ordine».

Proprio ieri sono stati presentati 32 emendamenti al disegno di legge che riforma l’ergastolo ostativo, all’esame della commissione Giustizia del Senato, dopo l’ok della Camera il 31 marzo scorso. Nessuno da parte dei gruppi del Pd e del M5s. Nel dettaglio - secondo quanto si apprende - i più numerosi sono quelli prooposti dalla Lega e dal senatore Pietro Grasso di Leu, 11 ciascuno. Sette sono di Italia Viva, 6 di Fratelli d’Italia e altrettanti dal senatore Mario Giarrusso del Misto, 1 da Forza Italia. Al centro del provvedimento, in sostanza, c'è il divieto di concedere benefici penitenziari ai detenuti che non collaborano con la giustizia. Lo scorso 10 maggio la Corte Costituzionale ha concesso altri 6 mesi al Parlamento per concludere l’iter della riforma, aggiornando all’8 novembre l'udienza pubblica in cui dovrà pronunciarsi sulla normativa.

Il tema è di stretta attualità ed ha suscitato numerosi interventi proprio in concomitanza con le commemorazioni del trentennale della strage di Capaci. Soprattutto in chi afferma di combattere l'antimafia delle parole e basta. Il consigliere del Csm Nino Di Matteo, ad esempio, ha disertato la manifestazione di Palermo: «Mi pare - afferma - si sia data una lettura minimalista e rassicurante della strage di Capaci, come se la vendetta dei macellai corleonesi fosse il movente prevalente se non esclusivo, tralasciando due aspetti». «Il primo - sottolinea - è il ruolo di leadership in termini di politica giudiziaria che Falcone aveva assunto al ministero: aveva portato in politica la lotta alla mafia - altro che porte girevoli! - e nella sua rozzezza Riina l’aveva capito». Secondo, aggiunge, «la contestualizzazione dell’eccidio tra l’assassinio eccellente di Salvo Lima e la stagione delle altre sei stragi successive». Di Matteo mette in guardia dal rischio di «smantellare pezzo dopo pezzo le leggi antimafia da lui ispirate, 41 bis ed ergastolo ostativo. Voteranno una riforma che crea un modello di magistrato-burocrate antitetico al suo; introdurranno una legge elettorale del Csm che aumenterà il correntismo, perché la politica non ha alcun interesse a debellare un sistema di cui si nutre e da cui trae vantaggio».

Anche per l’ex procuratore generale Roberto Scarpinato ne, intervenuto a un convegno a Palermo il 23 maggio, è stato «un trentennale triste basato sulla rimozione, sulla restaurazione e sulla normalizzazione. La Falconeide ufficiale sedativa si basa su storie false. È falso dire che la mafia è sconfitta. La camorra, la mafia pugliese continuano a sparare e ad uccidere; mafia e 'ndrangheta non hanno bisogno di uccidere perché hanno tutte le porte aperte. Il racconto ufficiale serve a consentire il disarmo da parte dello Stato di leggi importanti nella lotta alla mafia come l'ergastolo ostativo e il 41bis». Scarpinato aggiunge che «siamo passati da presidenti della Regione come Piersanti Mattarella, che è stato ucciso, a quello odierno che ritiene opportuno potere confrontarsi con uomini politici condannati per mafia come Marcello Dell’Utri».

 

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