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In cella da 30 anni, il boss partinicese Pezzino testa le norme sull’ergastolo ostativo

Francesco Salvatore Pezzino, in carcere da oltre 30 anni, per vari reati tra i quali l’omicidio aggravato dall’associazione mafiosa, è il detenuto - attualmente recluso nel carcere sardo di Tempio Pausania - che tramite l’avvocatessa Giovanna Araniti ha presentato il ricorso ‘pilotà che ha spinto la Consulta a fare pressioni sul legislatore per la modifica dei ‘palettì, come l’obbligo della collaborazione, che impedivano la liberazione condizionale ai condannati all’ergastolo ostativo e che sono state cambiate con la riforma varata lo scorso novembre dal governo di Giorgia Meloni. Oggi il suo ricorso è stato affrontato dalla Cassazione ed è servito da ’pilotà anche per testare la riforma che non è stata rinviata alla Consulta, come chiedeva invece la difesa di Pezzino sospettandola di incostituzionalità.
Per quanto riguarda la storia criminale e giudiziaria di Pezzino, nato nel 1962 a Partinico (Palermo), l’uomo sta espiando l’ergastolo con isolamento diurno per anni uno, in forza di un provvedimento di cumulo di tre sentenze di condanna.
La prima, della Corte di assise di appello di Palermo del 29 aprile 1988 (irrevocabile dal 28 aprile 1989), gli ha inflitto trenta anni per i reati di omicidio, tentato omicidio, detenzione e porto illegale di armi, anche clandestine, lesioni personali e rapina aggravata. La seconda, del 16 luglio 2004 della Corte di appello di Palermo( irrevocabile dal 17 gennaio 2007), gli ha irrogato la pena di cinque anni e quattro mesi per il reato di partecipazione ad un’associazione di tipo mafioso, commesso fino al 3 maggio 2000 in Partinico. Le prime due condanne sono state completamente espiate. La terza, del 24 giugno 2005 della Corte di assise di Palermo (irrevocabile dal 9 febbraio 2007), gli ha inflitto l’ergastolo con isolamento diurno per anni uno, per il delitto di omicidio aggravato dalla mafiosità e per reati concernenti la violazione delle disposizioni sulle armi.
Quest’ultima condanna è quella che ha avuto rilievo nel ricorso alla Consulta perché ha inflitto la pena dell’ergastolo per un delitto aggravato dalla partecipazione mafiosa e compreso nella categoria dei reati ostativi alla liberazione condizionale.
La pena dell’ergastolo è in esecuzione dal 23 novembre 1999 e Pezzino ha ottenuto - sulla carta - la liberazione anticipata per complessivi giorni 2655. Secondo quanto previsto dall’art. 54 I. n. 354 del 1975, agli effetti del computo della misura di pena espiata per l’ammissione ai benefici, ivi compresa la liberazione condizionale, si considera scontata la parte di pena detratta per liberazione anticipata, regola questa che si applica anche ai condannati all’ergastolo.
Pertanto, Pezzino, già alla data del 17 settembre 2019 - quando il Tribunale di Sorveglianza de L’Aquila respinse il suo ricorso - aveva espiato 19 anni, 9 mesi e 26 giorni di reclusione, con in più, ai fini del computo del periodo di pena espiata, i giorni di liberazione anticipata, e quindi con una complessiva espiazione di oltre ventisette anni di pena detentiva. Il termine minimo di ventisei anni, imposto dall’art. 176 cod. pen. per l’accesso alla liberazione condizionale di un condannato all’ergastolo, era già ampiamente decorso anche alla data di proposizione della richiesta, ossia al 10 marzo 2019.
Oggi, Pezzino è in carcere da oltre 30 anni, che è il periodo di tempo che, in base alle norme riformate, il detenuto all’ergastolo ostativo che non ha collaborato deve aver espiato in carcere prima di poter chiedere la liberazione condizionale

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