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Cinquant'anni fa la strage di Montagna Longa: un libro racconta le indagini di un poliziotto

Il fotografo Gigi Petyx accanto ai resti dell'aereo

Un aereo avvolto in una palla di fuoco che si schianta contro il fianco di una collina, tra Cinisi e Carini, e una verità negata per 50 anni esatti. È la storia del disastro di Montagna Longa, tra i più gravi dell’aviazione italiana, che si verificò la sera del 5 maggio 1972 nei pressi dell’aeroporto di Punta Raisi: vi morirono 115 persone.

Inizialmente si seguì la pista dell’errore umano, addossando la colpa a una presunta imperizia dei piloti del volo Alitalia Az 112, poi quella di un attentato e infine di un complotto. Come sempre in questi casi, tante le ipotesi formulate dalla magistratura, ma nessuna certezza.

Come spesso accade in Italia, il destino dell’incidente si intreccia con quello di chi ha cercato di far luce sulle cause del disastro: il vicequestore di Trapani, Giuseppe Peri, che, in solitaria, indagò su una trama eversiva. «Non è un caso se il mio libro si intitola Settanta. Il poliziotto e la strage negata», spiega l’autore, il giornalista Fabrizio Berruti, nel suo romanzo d’inchiesta basato su un fascicolo del poliziotto che indagò per primo sul disastro. «Nel 2017 - racconta - i familiari hanno commissionato una perizia che ha dimostrato che all’interno di quell'aereo c'è stata un’esplosione. A quel punto si sono rivolti alla procura di Catania, che però ha respinto l’istanza, adducendo come motivazione che "la perizia è scientificamente ineccepibile ma è un’opinione". Sono rimasto affascinato da questa storia, ma ancora di più dalla figura di Peri, in cui mi sono imbattuto quasi per caso scoprendo il suo rapporto, scritto all’epoca dei fatti e inviato a sette procure, ma rimasto lettera morta».

Berruti, colpito dalla «lucidità investigativa» del lavoro del poliziotto, decide di approfondire la figura di Giuseppe Peri raccogliendo documenti e testimonianze e scoprendo così un’altra «vittima» di quella strage. «Anche io - continua il giornalista - sono entrato in questa coltre di silenzio e nel mio piccolo mi sono trovato un muro di gomma. Allora, con tutte le carte che avevo raccolto ho deciso di raccontare questa vicenda, seppure in forma di romanzo-verità, dove la finzione letteraria riempie i buchi della memoria».

La storia segue il filo rosso tracciato da Peri, fatto di sequestri, omicidi, mafia, massoneria e stragismo di destra volto a creare il caos nell’Italia di quegli anni: «La strategia della tensione - dice Berruti - oggi è un dato di fatto acclarato, costellato in quel decennio da diversi tentativi di colpi di Stato». In questo clima, Peri cercò di condurre le indagini, ma venne subito isolato e deriso da colleghi e superiori. «Oggi rimane molta rabbia - racconta Roberto Peri, figlio del vicequestore Giuseppe - perché mio padre dedicò tutto se stesso alle indagini, ma fino all’82, anno della sua morte, venne additato come un visionario. Anche quando per ricostruire fatti criminosi che non avevano un ambito geografico circoscritto nel Trapanese, utilizzava le ferie per svolgere le indagini in altre parti d’Italia».

Quel rapporto è nato così da fatti apparentemente scollegati tra loro ma che avevano un filo conduttore: «Mio padre ipotizzò che dietro questi sequestri ci fosse qualcosa di più, nato dal connubio tra terrorismo di destra e mafia - aggiunge Roberto Peri - e in questo processo si inserisce il disastro di Montagna Longa». «Ho usato la forma di docu-romanzo perché alla fine la fiction ha più potenza narrativa libera da condizionamenti - conclude Berruti -. Non ho certezze ma per me si è trattato di una strage e penso sia doveroso, da parte delle istituzioni, dare una risposta, un approfondimento giudiziario, anche per rispetto di una tragedia che ha lasciato una ferita immensa nella comunità di Palermo».

«A cinquant’anni dalla strage di Montagna Longa - ha detto il presidente della Regione Nello Musumeci - il mio pensiero va ai familiari delle vittime, ancora in cerca della verità. Sui tanti aspetti controversi legati alla causa di uno dei disastri aerei più gravi in Europa, nel quale morirono 108 persone e i sette membri d’equipaggio del volo diretto a Palermo, è infatti calato un silenzio definitivo che non potrà dare pace agli orfani, alle vedove, a chi ha perso un proprio caro. A loro e alla memoria delle vittime, in questo triste anniversario, l’omaggio mio personale e del governo regionale».

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