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Sciagura aerea di Montagna Longa, il perito dei familiari delle vittime: «Fu una micro-bomba»

Rosario Ardito Marretta, docente universitario, ha eseguito utilizzato modelli matematici che mezzo secolo fa non potevano trovare applicazione. I suoi studi ribaltano le conclusioni dei giudici

I resti dell'aereo precipitato a Montagna Longa

Mezzo secolo fa, il 5 maggio 1972, un Dc8 dell’Alitalia proveniente da Fiumicino si schiantò in fase d’atterraggio contro Montagna Longa, nei pressi dell’aeroporto palermitano di Punta Raisi, oggi intitolato a Falcone e Borsellino. Vi furono 115 morti. Un processo che si concluse dopo 12 anni attribuì la responsabilità a un errore dei piloti. Ma buona parte dei parenti delle vittime non ha mai creduto a questa verità, tentando, finora invano, di riaprire il processo. Oggi un libro del professor Rosario Ardito Marretta, docente di Aerodinamica e dinamica dei fluidi all’Università di Palermo, sembra dar loro ragione: l’incidente - è in sintesi la conclusione dello studioso - avvenne a causa di un sabotaggio del velivolo. Una conclusione raggiunta attraverso complesse equazioni matematiche (grazie a computer che cinquant'anni fa non esistevano) che permettono a Marretta di verificare le sue tesi: «Non parlerei di ipotesi - afferma - perché la probabilità di ciò che sostengo è talmente alta da superare quella che l’esame del Dna fornisce sull'identità di una persona».

Il lavoro terminato nel 2017 (commissionato dall’Associazione parenti delle vittime di Montagna Longa, con l’intento di riaprire le indagini) è diventato un libro che in Italia non ha trovato un editore ed è appena stato pubblicato da Cambridge Scholars Publishing, nella traduzione dall’italiano di Katy Rose Wallis. S'intitola «Unconventional Aeronautical Investigatory Methods. The Case of Alitalia Flight AZ 112».

Marretta parte da alcune premesse: l’inchiesta giudiziaria si accontentò di prendere atto che la scatola nera dell’aereo era guasta e dunque inservibile ai fini di scoprire cos'era accaduto negli ultimi minuti di volo dell’AZ 112, schiantatosi intorno alle 22.24. Dal manuale d’uso del Dc8 (trovato intatto da Marretta), realizzato dall’Alitalia con criteri ancor più restrittivi rispetto a quelli dettati dal costruttore McDonnell Douglas, si evince che questo tipo di guasto (indicato come 1A, la categoria più alta di gravità) costringe a terra l’aereo. C’è di più: il nastro della scatola nera fu trovato spezzato e non aveva registrato le ultime sette ore di volo. Ciò significa che gli equipaggi, almeno cinque, che si erano alternati ai comandi, non si erano accorti del mancato funzionamento dello strumento. Impossibile, taglia corto Marretta, che sottolinea come l’I-Diwb (la «targa» del velivolo che portava il nome di Antonio Pigafetta), fosse stato sottoposto a manutenzione il 30 aprile, cioè cinque giorni prima dell’incidente, e che quelle sette ore mancanti di registrazione siano proprio il cumulo dei tempi di volo del Dc8 fino al disastro. Da qui l’ipotesi del sabotaggio, realizzato in modo da impedire ai piloti di accorgersi del guasto.

Un altro elemento a sostegno della tesi di Marretta scaturisce dall’osservazione del suolo su cui l’aereo si schiantò e dagli esperimenti effettuati in laboratorio bruciando il kerosene su una superficie che riproduce quella di Montagna Longa. I resti dell’aereo mostrano la parte destra dell’impennaggio di coda particolarmente danneggiata dalle fiamme, mentre la parte sinistra della stessa struttura non ha segni di bruciatura; nei paraggi, inoltre, alcuni oggetti (cappelliere, sedili, pneumatici del carrello) non sono stati sfiorati dal fuoco. Dove sono finite le 18 tonnellate di carburante imbarcato prima del decollo? Non sul terreno, che a temperature intorno agli 800 gradi avrebbe subito un processo di vetrificazione: non sarebbe, insomma, cresciuta più l’erba. Dunque, l’energia dell’esplosione non è quella prodotta da un carico così cospicuo di carburante, che secondo i calcoli di Marretta è, invece, uscito dal serbatoi nella fase finale del volo. Come? Attraverso un foro vicino alla manichetta d’espulsione del kerosene, sull’ala destra, che potrebbe essere stato causato - è la deduzione di Marretta - da una micro carica (della dimensione di un pacchetto di sigarette) posta in un piccolo incavo. Le simulazioni al computer (ampiamente illustrate nel libro e corredate da immagini) porterebbero a queste conclusioni che secondo lo studioso non lasciano dubbi.

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