Arriva la prima condanna dopo le indagini legate all'omicidio di Lino Celesia, l’ex calciatore assassinato lo scorso 21 dicembre (2023) al culmine di una sparatoria avvenuta all’interno della discoteca Notr3 (nella foto, nel riquadro la vittima) di via Pasquale Calvi, a Palermo. Al termine del processo che si è svolto con il rito abbreviato, il giudice Elisabetta Stampacchia ha inflitto a G.O. di 23 anni, il più grande dei due fratelli arrestati per l’omicidio - quattro anni di carcere e 6 mila euro di multa, due in meno rispetto alla richiesta del pubblico ministero Vittorio Coppola. Assistito, come l’altro imputato, dall’avvocato Vanila Amoroso, doveva rispondere di porto e detenzione della pistola con la quale sarebbe stato ucciso ucciso il ventiduenne del Cep durante il faccia a faccia tra due comitive, poi concluso in tragedia. Di essere l'esecutore è invece accusato il fratello minore.
L’arma del delitto non è mai stata trovata: per la difesa sarebbe stata a salve, e dunque incapace di nuocere. G., pescivendolo e con un figlio piccolo, aveva dato una versione diversa e cioè di aver comprato una scacciacani da una persona tramite Telegram e poi averla gettata in un cestino dei rifiuti nei pressi del Notr3. Una tesi a cui il tribunale non ha creduto: per l’accusa non ci sarebbe stata una seconda pistola ma sarebbe stata sempre la stessa a fare fuoco nei momenti concitati dello scontro divampato nel locale. Per il sostituto procuratore Paoletta Caltabellotta, M. - l’altro fratello, che a maggio ha compiuto 18 anni – deve invece rispondere di omicidio: l’udienza preliminare, davanti al giudice del tribunale dei minorenni Antonina Pardo, è stata fissata per il prossimo 23 luglio.
Il ragazzo aveva già ammesso di essere stato lui a premere due volte il grilletto, provocando le lesioni mortali al collo e ai polmoni alla vittima, e di avere successivamente lanciato l’arma in mare alleviando così le responsabilità di G. che ha sempre sostenuto di essere caduto a terra, stordito dopo una colluttazione con l’ex calciatore. La certezza della responsabilità dell’ex diciassettenne, rinchiuso nell’Istituto minorile di Acireale, sarebbe contenuta in un audio, estrapolato da un video, in cui si sentirebbe nitidamente quanto è accaduto quella tragica notte. «No, no, che fai?» e i due colpi di pistola, immediatamente seguenti e perfettamente udibili, sarebbero la dimostrazione che è stato M. a sparare contro il rivale. Perché chi chiedeva «che fai?» aveva pure pronunciato il nome del giovane, che non facciamo perché appunto all’epoca era minorenne, nel tentativo di fermarlo.
Nessun tentativo di copertura dell’altro fratello, quindi, ma la morte dell’ex calciatore sarebbe stato l’epilogo fatale di una violentissima rissa tra opposte fazioni che si sarebbero sfidate più volte, e in diversi locali, nelle settimane precedenti. Durante l’interrogatorio di garanzia, M. - che ha avuto un’infanzia difficile, senza il papà, un passato in comunità e sotto l’occhio dei servizi sociali - aveva ribadito di avere agito d’istinto, per legittima difesa: «Temevo per la mia vita – aveva raccontato al magistrato il giorno di Natale -. Ho pensato che lui, dopo avere picchiato mio fratello, potesse farlo anche con me. Aveva chiuso i pugni, credevo che stesse arrivando per affrontarmi. Siccome era molto più grande e grosso di me, mi sono spaventato e per questo ho preso la pistola e ho sparato. L’ho fatto solo per legittima difesa, non volevo ucciderlo, mi dispiace moltissimo».
L’incontro con Celesia al Notr3 sarebbe stato casuale: Lino avrebbe colpito il maggiorenne alla testa facendolo svenire, poi il più piccolo avrebbe sparato preso dal panico. Soccorso il fratello ferito, si sarebbe disfatto delle pistola gettandola in mare a Vergine Maria e il giorno seguente avrebbe chiamato il 112 per consegnarsi. Ma la concatenazione di eventi che hanno portato alla morte di Celesia sarebbe partita dieci giorni prima, quando, in alcuni tafferugli alla Vucciria, quest’ultimo avrebbe colpito G. con una bottiglia e M. si sarebbe talmente intimorito da munirsi di un’arma, presa a Ballarò con l’intercessione di uno zingaro. Ricostruzione, quella offerta dal diciottenne, che in aula l’accusa cercherà di smontare tramite una serie di testimonianze e di prove raccolte dagli agenti della squadra mobile, oltre che attraverso la relazione tecnica sui residui di polvere da sparo e con la presentazione di video, foto e intercettazioni eseguite al carcere del Malaspina.
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