Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

«Russo era un morto che camminava, ma io l’ho salvato»: le rivelazioni del pentito palermitano Giordano

Secondo il mafioso dello Zen il politico non aveva sempre mantenuto le sue promesse sulle assunzioni dei Pip e per questo lo definiva un truffaldino

Si sa che le troppe promesse finiscono per ingabbiare chi le fa. Antico vizio quello di certa politica e che, a quanto pare, aveva finito per far cadere nella trappola anche Mimmo Russo. Aveva chiesto voti, tanti voti, ma ad un certo punto non sarebbe stato più in grado di dar seguito a tutto il suo bacino elettorale. Più collaboratori di giustizia hanno raccontato questa circostanza e la situazione si era anche fatta incandescente. Qualche boss era andato su tutte le furie ed era pronto anche a far fuori il politico dalla «lingua lunga».

Scenario che ha confermato Salvatore Giordano, detto «Totò u pisciaiolu». Ha iniziato a collaborare con la giustizia nel febbraio del 2010. Ha confermato di essere stato un esponente della famiglia mafiosa che operava nel quartiere Zen di Palermo. Gli inquirenti lo ritengono assolutamente affidabile. Le sue dichiarazioni hanno trovato riscontro nel procedimento denominato «Nuove Alleanze» che ha portato nel 2010 a 9 arresti per associazione mafiosa e fittizia intestazione di beni. Un’indagine che all’epoca aveva acceso i riflettori sui clan palermitani di San Lorenzo, Tommaso Natale e Acquasanta e che mise in luce inediti accordi con l’obiettivo di rafforzare l’organizzazione a Palermo.

Giordano ha confermato che Russo si occupava di trovare posti di lavoro agli ex Pip (che il collaboratore chiama erroneamente come Vip nel verbale delle dichiarazioni, ndr) dei vari quartieri di Palermo. Il tutto avveniva attraverso delle società cooperative. «Mimmo Russo era un morto che camminava - ha detto ai magistrati l’ex capomafia dello Zen -. Io l'ho salvato... A Mimmo Russo, e lui lo sa, iddu u sape... Mimmo Russo ci doveva morire a casa mia ... Rintra ‘u puzzu l’aviamu a ghiccari... picchì iddu mi rovinà pure a mia e io u sarbavu... io l'ho salvato...» (Mimmo Russo lo sa… Dentro un pozzo doveva essere buttato… Perchè lui ha rovinato anche a me e io l’ho salvato, ndr).

Il collaboratore ha quindi confermato un po’ tutta l’impalcatura dell’inchiesta culminata nel blitz di ieri. Attraverso il Caf che aveva aperto, Russo dispensava posti di lavoro. Di quei locali ne aveva fatto la sua sede politica dove si decidevano a tavolino assunzioni, nomi e contropartite: «Sì - ha detto Giordano -, il signor Mimmo Russo, ca si fici l'ufficio allo Zen, aveva promesso 20 mila euro... Posti ri travagghiu... U vuonnu ammazzare…». Secondo Giordano il politico non aveva quindi sempre mantenuto le sue promesse, e per questo lo definiva un truffaldino. Il sessantanovenne, quando ha potuto, ha procurato posti di lavoro, persino a mafiosi di vertice. Nel definire i rapporti tra Russo e Cosa nostra, anche Giordano evidenziava che erano alimentati dal rapporto di parentela del politico con Franco Russo, detto Diabolik (nella foto).

Ad emergere anche un altro episodio collegato a promesse non mantenute. Sempre il collaboratore dello Zen ha raccontato che dopo il mancato finanziamento di 20 mila euro per la festa allo Zen del 2008, i mafiosi del quartiere (Nicola Ferrara e Guido Spina) hanno costretto Russo a chiudere l'ufficio che aveva aperto, allontanandolo dal quartiere.

In totale di Russo hanno parlato 10 pentiti, dichiarazioni tutte confluite in questa inchiesta. Oltre a Giordano lo hanno citato Baldassare Ruvolo, Filippo Di Marco, Giuseppe Tantillo, Francesco Chiarello e Fabio Lo Manno del Borgo Vecchio, Francesco Lo Nardo dello Zen, Antonino Siragusa di Resuttana e Filippo Bisconti di Misilmeri. Tutti sostanzialmente hanno confermato che Russo metteva in atto una compravendita di voti promettendo posti di lavoro, fondi per feste rionali, definito in alcuni casi come «uno di famiglia».

Tag:

Caricamento commenti

Commenta la notizia