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Palermo, Marzia Sabella: «La mafia è tornata a gestire il traffico di droga»

Intervista al procuratore aggiunto a Palermo: «Crescita paurosa dello smercio»

La droga arriva in Sicilia principalmente via mare, in quantità sempre più abbondanti, attraverso i cargo che la scaricano in acqua debitamente imballata per evitare infiltrazioni. Il compito di recuperarla è poi affidato a pescherecci che, seguendo i dati del gps satellitare montato sul carico, trovano i pacchetti galleggianti e li issano a bordo prima di consegnargli sulla terraferma ai complici che devono smistare la sostanza stupefacente nelle varie piazze di spaccio.

A luglio la guardia di finanza, sotto il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, era riuscita a realizzare uno dei più grandi sequestri di sempre bloccando oltre 5 tonnellate di cocaina che, dopo il trasferimento dalla nave madre, viaggiavano a bordo di un’imbarcazione proveniente dalle coste calabresi. Un’indicazione geografica, per niente casuale, che dimostra quanto stretti siano gli interessi che uniscono la mafia e la ‘ndrangheta.

Una collaborazione che, negli ultimi tempi, ha ripreso vigore, come spiega Marzia Sabella, procuratore aggiunto di Palermo, da sempre impegnata sul fronte della lotta a Cosa Nostra dall’arresto del superlatitante Bernardo Provenzano alla caccia ai patrimoni della criminalità organizzata.

«Una volta c’erano i corrieri che ingerivano gli ovuli pieni di droga, oggi il loro numero è limitato perché ormai i trafficanti sfruttano sistemi totalmente diversi rispetto al passato visto che i carichi da trasportare sono più grossi. Per le comunicazioni utilizzano telefoni criptati che rendono complicata la loro intercettazione mentre la nave madre che scarica la droga in mare per poi farla riprendere dai pescherecci, più piccoli e quindi difficili da localizzare, è un altro metodo per sfuggire ai controlli. Per fortuna siamo attrezzati e praticamente ogni settimana riusciamo a togliere molta droga dal mercato grazie anche alle segnalazioni che ci scambiamo con le altre procure italiane. I risultati sono evidenti ma occorrerebbe uno sforzo massiccio per potenziare gli organici: servono più magistrati e forze dell’ordine da schierare in campo per condurre operazioni significative tali da mettere in ginocchio gli affari della criminalità organizzata».

Anche ieri c’è stato un sequestro di 125 chili di hashish: erano nascosti all’interno di un’auto che da Reggio Calabria stava per imbarcarsi sul traghetto per Messina. Che tipo di relazione c’è tra le cosche della ‘ndrangheta e quelle siciliane?

«C’è stata una crescita paurosa del traffico della droga perché è aumentata la domanda da parte dei consumatori e, di conseguenza, anche l’incremento dell’offerta è stato esponenziale. La Calabria ha storicamente vantato l’egemonia in questo settore, parallelamente Cosa Nostra è stata costretta a ritornare prepotentemente nel mercato degli stupefacenti, che per alcuni anni aveva tralasciato, in modo da fare fronte alle proprie difficoltà economiche provocate dai colpi ricevuti da parte dello Stato. Appalti e estorsioni, a cui i mafiosi si erano dedicati, non bastavano più a garantire i costi dell’organizzazione che è stata messa in difficoltà dai controlli sistematici e dalle denunce. E così il business della droga, che era stato messo per un certo periodo in secondo piano, è ritornato d’attualità. Oggi i clan siciliani sono ritornati in prima linea. Non sono più semplici acquirenti del prodotto ma si stanno alleando con le ‘ndrine facendo investimenti e stringendo accordi con i loro colleghi calabresi: ognuno mantiene la sua identità ma certamente il ruolo della mafia è diventato ben più pesante in confronto a qualche anno fa».

C’è un tipo di droga più richiesta rispetto alle altre?

«A parte il crack, che costa poco e si trova facilmente tra i giovani, la parte della regina la fa la cocaina. Ma sequestriamo pure carichi di hashish e marijuana anche se recentemente abbiamo ricominciato a vedere l’eroina, una delle droghe più economiche sul mercato».

Tra Sicilia e Calabria c’è ormai una vera e propria holding fondata fondata sulla droga?

«In realtà sarebbe sbagliato considerarlo un problema circoscritto a due sole regioni. Lo stretto di Messina non è l’unico posto che viene usato per il passaggio degli stupefacenti: il circuito è ramificato in tutta Italia, soprattutto al nord, e anche all’estero perché c’è la necessità di garantire costanti rifornimenti. I canali di produzione sono noti, come ad esempio quello sudamericano, ma gli interlocutori sono principalmente calabresi e albanesi. Un fenomeno che ci allarma è la partnership con la mafia siciliana che ora è tornata ad occuparsi del traffico di droga».

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