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Il blitz antimafia di Palermo, il pizzo si ferma solo davanti al lutto

Al commerciante era morta la moglie di tumore, c’era il funerale ed il gregario del boss non se l'era sentita di riscuotere il pizzo mensile. Umana, seppur rara, accortezza del clan, che imponeva a Palermo i pagamenti a tappeto, senza esclusione e senza scuse. All’Agenzia delle entrate illegali non sfuggiva nessuno: dal titolare del Caf appena aperto, che non era in grado di pagare la mesata ma aveva promesso di mettersi in regola, al titolare di due pub che doveva versare la somma a Pasqua e a Natale, oltre ad un pensierino cumulativo per il secondo locale «un pensierino per i tre mesi dell'estate» che ammontava a 500 euro. E non si doveva dimenticare di passare a riscuotere da quello delle cassate e dal giornalaio.

Nelle intercettazioni dell'operazione Centro - che ha portato a nove fermi nel mandamento mafioso chiamato Porta Nuova e operativo nei quartieri storici della città, da Ballarò al Capo, dalla Vucciria alla Kalsa - diverse conversazioni tra i sodali che effettuavano i conteggi di denaro con riferimenti alle vittime delle estorsioni, la cui identità veniva spesso coperta dal linguaggio criptico: quello delle torte, quello delle cassate, l'anziano al quale avevano rubato un furgone, il fioraio, un imprenditore che stava svolgendo attività edili di manutenzione, il tunisino che vendeva le sigarette sul tavolino, l’uomo in lutto. Il gregario spiegava al boss di non avere ancora chiesto i soldi al soggetto a causa del lutto subito e che questo già gli aveva fatto capire che avrebbe pagato in seguito, «poi ci vediamo».

«Mi manca solo quello che gli è morta la mugghieri, a 56 anni... mi è sembrato male andarci! anche perché il funerale l'ha fatto, l'ho visto, gli sono andato a fare le condoglianze». Come se fosse necessario dare una prova che giustificasse il mancato incasso.

I due individuavano poi ulteriori soggetti da destinare alle richieste di pizzo e messa a posto. Il denaro delle estorsioni era destinato alle casse della famiglia, considerata - oltre alla gestione - anche la rendicontazione unitaria (a mezzo di foglietti che passavano nelle mani dei sodali) e la destinazione di parte delle somme al mantenimento dei detenuti. «Chiudiamo il conto» e si cominciava a contabilizzare. In un foglio erano annotati tutti i soldi fino ad allora ricevuti da terza persona, che aveva consegnato 3.250 euro e che avrebbe dovuto corrispondere in totale 5.650 euro: «... Io ce li ho scritti! Io lo scrivo e lo ammucciu», dice uno degli indagati al presunto boss che lo invitava a raccogliere quanto prima, quanti più soldi possibili, indicati con il termine «sigarette» perché doveva consegnarla ad appartenenti all’organizzazione criminale in difficoltà economiche: «Tutti in mezzo la strada questi sono! Terremotati».

Un forte vincolo legato al rispetto, quello che esisteva tra i due. Come appare chiaro dalla questione che si era venuta a creare con un uomo che aveva iniziato a vendere frutta, evidentemente senza alcuna autorizzazione da parte della famiglia di Palermo Centro, ed era stato già richiamato all’ordine. Elogiando la figura del capomafia, il suo fedelissimo esprimeva il suo disappunto: «Me ne faccio! Lo sai perché? Perché per me sei meglio di mio padre!».

Fine anno, tempo di bilanci. E così il boss si accerta dell’andamento degli affari, chiedendo se le cifre annotate nel «pizzino» fossero soddisfacenti. L’altro lo rassicura: gli incassi dell'organizzazione criminale erano «un buon importo e ne ho altri a portata di mano».

Alcuni dei taglieggiati versavano i soldi della tangente come sempre, tenendo però conto che alle stesse era stata fatta una «carezzina»: 850 euro erano la donazione di Natale. Ma in quel libro contabile c’era anche la casella vuota di novembre per il titolare di un pub che non era riuscito a pagare a causa del Covid, somma di denaro che comunque era riuscito a recuperare e che sarebbe stata contabilizzata successivamente. Difficoltà pure per il titolare di locali, che ne aveva già dovuto chiudere uno: «Non faceva altro che ricevere verbali di 20.000 euro per violazione delle norme anti-Covid, poverino, che lo chiudono....». Ma tranquillo, boss. Ne stava già riaprendo un altro in via Alloro e «quella, lo sa, è sempre zona nostra...non può sgagghiare».

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