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Arresti di mafia a Belmonte, l'inchiesta partita dall'ex boss pentito Bisconti

Filippo Bisconti, ex capo del mandamento di Misilmeri-Belmonte Mezzagno

Nelle indagini che hanno portato alla retata con 9 arresti di questa mattina (7 aprile) che ridisegnano gli equilibri mafiosi a Belmonte Mezzagno e raccontano l'ascesa di Agostino Giocondo, un ruolo importante lo ha avuto un collaboratore di giustizia, Filippo Salvatore Bisconti.

Bisconti, ex capofamiglia di Belmonte Mezzagno, era un elemento di spicco, tanto da fare parte della Nuova commissione provinciale della mafia di Palermo. Il pentito, iniziò le sue dichiarazioni proprio all'indomani del suo arresto nell'operazione del 2018 Cupola 2.0.

Bisconti, pregiudicato e figlio del boss Ludovico, detto "il commendatore", è da sempre occupato nel settore delle costruzioni edili e inserito organicamente nel contesto mafioso di Belmonte, pur essendo da parecchi anni residente a Palermo. Fu arrestato la prima volta per mafia il 30 maggio 1996, condannato, venne scarcerato nel settembre 2006 e sottoposto a sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno a Palermo. Torna in cella due anni dopo, nel dicembre 2008, coinvolto insieme ad altre 98 persone nell'operazione Perseo ma dal processo che ne scaturì uscì pulito.

Nuovo arresto nel marzo 2015 nell'operazione Jafar con altre sei persone e accusato di associazione mafiosa ed estorsione. Infine il coinvolgimento, era il dicembre del 2018, nell'operazione Cupola 2.0 insieme ad altre 49 persone, perché ritenuto responsabile di aver fatto parte della nuova commissione provinciale di Cosa nostra, proprio in veste di capomandamento del clan di Belmonte Mezzagno/Misilmeri. Le indagini svolte in quel procedimento dimostrarono che gli esponenti di vertice dei mandamenti di Palermo e provincia, dopo la morte di Totò Riina, avevano ricostruito la cupola, "organismo direttivo" della mafia palermitana che coordinava le scelte di interesse comune dei vari territori

Filippo Bisconti, dunque, come capo mandamento di Misilmeri/Belmonte Mezzagno, era stato uno dei membri di diritto della commissione, sedendo accanto a uomini d'onore del calibro di Gregorio Di Giovanni, del mandamento di Porta Nuova; Settimo Mineo, del mandamento di Pagliarelli; Leandro Greco, di Ciaculli; Calogero Lo Piccolo, di Tommaso Natale/San Lorenzo; Francesco Colletti, di Villabate/Bagheria.

Dopo il fermo Visconti decise di collaborare con la giustizia. Le sue dichiarazioni furono da subito considerate particolarmente rilevanti, dimostrando una profonda conoscenza del territorio mafioso palermitano e contribuendo alla cattura di altri appartenenti alla mafia.

Nelle motivazioni della sentenza del 3 dicembre 2020 nell'ambito del processo Cupola 2.0 il giudice scrive: "Va osservato che il giudizio sulla credibilità di Bisconti e sulla complessiva affidabilità delle sue dichiarazioni è senz'altro positivo, perché sono stati pienamente riscontrati tutti gli indici di attendibilità richiesti e sono soprattutto molteplici i riscontri estrinseci acquisiti costituiti dagli esiti di una poderosa mole di intercettazioni e da mirati servizi di monitoraggio".

Una storia di tutto "rispetto" quella di Bisconti, è lui stesso a raccontare la propria storia criminale, illustrando il percorso e descrivendo una serie di fatti, a partire dal suo ingresso in cosa nostra, nella famiglia di Belmonte Mezzagno, tra il 1997 e il 1998, mediante "rituale combinazione" curata dagli uomini d'onore Benedetto Spera, Giuseppe Spera e Nicola La Barbera. Ha raccontato agli investigatori di essere diventato capo famiglia di Belmonte nell'ultimo periodo della con direzione da parte di Vasta e Ravesi, nel 2014. Ed è stato lo stesso pentito, nel corso di un interrogatorio, a spigare che nel mandamento Misilmeri?Belmonte Mezzagno la mafia, pur essendo ancora legata a valori piuttosto arcaici, aveva ormai assunto una struttura fluida e non più soggetta a schemi gerarchici rigidi, per colpa anche dei numerosi arresti.

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