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Omicidi di mafia, ergastolo per il boss di Carini Freddy Gallina accusato di tre delitti

L'arresto di Gallina

La seconda sezione della Corte d’assise di Palermo ha condannato ieri a tarda sera all’ergastolo, dopo undici ore di camera di consiglio, il capomafia di Carini Ferdinando Gallina, detto Freddy, di 44 anni.

Il collegio presieduto da Vincenzo Terranova ha riconosciuto l’imputato colpevole di tre delitti risalenti al periodo compreso tra il 1999 e il 2000: ad accusarlo due collaboratori di giustizia, Gaspare Pulizzi e Antonino Pipitone, che già avevano provocato altre condanne a vita per gli stessi delitti.

Gallina, a lungo latitante negli Stati Uniti, era stato processato da solo perché dopo il suo arresto, avvenuto nel 2019 per immigrazione irregolare negli Usa, l’estradizione, al termine di una complessa battaglia giudiziaria, era arrivata solo a marzo di quest’anno. Dopo che il mafioso del Palermitano era stato consegnato, attraverso l’Interpol, alle autorità italiane, era partito il processo. La sentenza è stata pronunciata intorno alle 22,30: i giudici hanno accolto la richiesta dei pm Dario Scaletta e Federica La Chioma, del pool coordinato dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca.

Gallina, assistito dall’avvocato Jimmy D’Azzò, sarebbe dunque responsabile degli omicidi di Felice Orlando, macellaio del quartiere Zen di Palermo, ucciso nel suo negozio a colpi di arma da fuoco, nel 1999; di Giampiero Tocco, fatto sparire col metodo della lupara bianca il 26 ottobre del 2000, mentre si trovava con la figlia di sei anni, risparmiata dai killer; e di Francesco Giambanco, sequestrato e fatto ritrovare cadavere a dicembre 2000 a Carini.

In tutti e tre i casi dietro la decisione di uccidere ci sarebbe stata la mano dei capimafia di Tommaso Natale, Salvatore e Sandro Lo Piccolo, padre e figlio, entrambi pluri-ergastolani e alleati del clan carinese dei Pipitone. Per «Freddy» si tratta invece del primo ergastolo: lui è figlio di Salvatore Gallina, capo della cosca del paese prima del figlio e coinvolto, tra l’altro, nel sequestro e nell’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo. Fra i tre omicidi ebbe modalità particolari quello di Tocco, ritenuto colpevole di avere tradito Giuseppe Di Maggio, figlio del patriarca di Cinisi (Palermo), Procopio, morto a cento anni nel 2017.

«Peppone» era stato rapito e ucciso dai nemici dei Lo Piccolo e Tocco venne a sua volta prelevato da finti agenti di polizia mentre era con la più piccola dei suoi figli. Poiché aveva capito di essere in trappola, riuscì a ottenere che la bimba venisse lasciata in automobile, salvandole la vita: attraverso le microspie piazzate nella macchina della vittima, sospettata di un ruolo nella lupara bianca Di Maggio anche dai carabinieri, gli investigatori ascoltarono impotenti prima il finto arresto e poi la disperazione della bimba, che riuscì a chiamare la mamma con il cellulare del papà, dando l’allarme.

Poi lei stessa realizzò un disegno che fu fondamentale per le prime condanne all’ergastolo, perché la sua descrizione dei fatti, delle pettorine e del lampeggiante utilizzato dai sequestratori, si incrociò alla perfezione con le dichiarazioni dei pentiti.

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