Il tribunale del riesame di Palermo ha nuovamente disposto il sequestro dell’edificio che, nel capoluogo siciliano, ospita la nuova palestra Virgin. I giudici del collegio presieduto da Salvatore Fausto Flaccovio hanno accolto il ricorso presentato dal pool coordinato dal procuratore aggiunto Sergio Demontis.
Il provvedimento - a parte che per le disposizioni anti Covid le palestre sono per adesso tutte chiuse - diventerà operativo quando scadranno i termini o verrà respinto l’eventuale e ulteriore ricorso, che la difesa della Euro Real Estate potrà proporre, stavolta in Cassazione.
L’edificio di via Gioacchino Ventura era stato posto sotto sequestro in ottobre dalla procura per abusi edilizi e problemi di staticità. L’avvocato Sergio Monaco, che assiste il legale rappresentante della società proprietaria, Filippo Basile, di 41 anni, aveva però ottenuto dal gip Fabio Pilato il dissequestro e il palazzo appena ristrutturato era tornato nella disponibilità dei proprietari e dei locatari della Virgin Active.
La Euroleasing Company spa, altra società interessata, nella qualità di comproprietaria dell’immobile che ospita la Virgin, aveva dimostrato al giudice che i lavori di ristrutturazione erano stati eseguiti in violazione della normativa e che non era stata chiesta la concessione edilizia, ma solo perchè era stata presentata la dichiarazione di inizio attività, circostanza che aveva fatto risparmiare 59 mila euro di oneri di urbanizzazione, che rimasero comunque sequestrati, a differenza dell’edificio.
Il giudice riconobbe infatti che non vi fosse il pericolo di crollo e aveva per questo ordinato la restituzione ai proprietari e ai locatari dell’immobile. Nell’inchiesta che ha portato al sequestro ci sono sei indagati: oltre a Filippo Basile, Antonino Lo Duca, progettista e direttore dei lavori fatti per ampliare la struttura, Tommaso Castagna, titolare della società esecutrice dei lavori e i funzionari del Comune, l’architetto Giuseppe Monteleone, dirigente responsabile dello Sportello unico attività produttive (già coinvolto nell’inchiesta e nel processo Giano bifronte), Antonino Zanca e Sergio Marinaro, che istruirono la pratica.
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