La Procura di Palermo ha impugnato la decisione con cui la sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo ha respinto la proposta di confisca del patrimonio del veterinario ed ex dirigente dell’Asp di Palermo Paolo Giambruno, accusato di essere un prestanome del capomafia di Carini Salvatore Cataldo.
Nel provvedimento i giudici hanno negato contatti tra Giambruno e la mafia e hanno restituito agli eredi dell’indagato - nel frattempo deceduto - i beni sequestrati. Per la Procura, che ha presentato ricorso contro il decreto del tribunale, i giudici delle misure di prevenzione hanno compiuto una «errata valutazione della prova e una errata applicazione ed interpretazione della legge penale».
Nel ricorso, firmato dal pm Gery Ferrara, si ricorda che Giambruno fu rinviato a giudizio per reati «connessi ad attività economiche infiltrate dalla presenza mafiosa».
«Ciò - scrive il pm - rende intrinsecamente contraddittorie e inopportune le valutazioni del Tribunale di Prevenzione che ripetutamente, basandosi su elementi probatori la cui valutazione non rientra nella propria competenza e andando ben oltre l’ambito di valutazione ad esso spettante, arriva addirittura ad affermare la mancanza di rilievo penale di condotte, per le quali vi è attualmente in corso un processo penale e su cui un altro organo giudicante ha espresso la sussistenza di elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio».
«Non si capisce - prosegue la Procura - come l’organo giudicante abbia potuto ritenere la mancanza di pericolosità sociale a fronte degli elementi che inspiegabilmente, vengono continuamente minimizzati nel provvedimento impugnato. Le condotte criminali in contestazione sono estremamente complesse e articolate e indicative della esistenza di un vero e proprio sistema di consolidato clientelismo, capace d’influenzare in maniera determinante scelte amministrative e allocazione di risorse economiche nonché di accaparramento illecito delle stesse da parte di soggetti appartenenti alla pubblica amministrazione, primo fra tutti Giambruno».
(ANSA)
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