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Azzerata la cosca di Palermo, sei fermati
I vertici eletti per alzata di mano

Le intercettazioni hanno consentito agli investigatori di ridisegnare i vertici del clan, guidato da Giuseppe Greco, omaggiato dagli affiliati con una sorta di cerimonia del bacio

PALERMO. Cosa nostra torna al passato e dopo anni di designazioni dall'alto dei suoi vertici ricorre alle elezioni. Ora, però, il metodo elettorale è semplificato: voto palese per alzata di mano, così da evitare l'urna, i franchi tiratori e brogli negli scrutini. Se non si parlasse di mafia si potrebbe dire che i clan hanno avviato un processo di «democratizzazione».

Espressione, però, poco adeguata visto il contesto tracciato dall'ultima indagine dei carabinieri del Ros di Palermo e del comando provinciale, che oggi hanno fermato sei esponenti della storica «famiglia» di Santa Maria di Gesù.

L'inchiesta, coordinata dalla Dda, nasce dopo le scarcerazioni di esponenti storici del mandamento che fu di Stefano Bontade, detto il «principe di Villagrazia». Alcuni scagionati dalla strage di via D'Amelio e rimessi in libertà, altri tornati nel quartiere dopo avere espiato la pena, i boss
sono tornati a operare a pieno ritmo. E i militari dell'Arma hanno immediatamente cominciato a controllarne le mosse.

Le intercettazioni effettuate nel corso dell'inchiesta, definite dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, di valore «eccezionale» hanno consentito agli investigatori di ridisegnare i vertici del clan, guidato da Giuseppe Greco, omaggiato dagli affiliati con una sorta di cerimonia del bacio, apprendere il ritorno agli antichi metodi di nomina dei capi, avere una straordinaria conferma a quanto raccontato finora dai pentiti e
fare pure luce su un omicidio e un tentato omicidio dell'ottobre scorso.

«Ma perchè non la possiamo fare ad alzata di mano?», dice Salvatore Profeta, anziano capomafia della cosca. «No segreto - spiega - alziamo la mano e li contiamo». La via della democrazia comunque è ancora lunga e di candidati veri a capo ce ne è soltanto uno, Giuseppe Greco, anche se nei dialoghi compare un altro aspirante boss di cui non si fa il nome.

«Cosa nostra mutua le regole che disciplinano le elezioni dei capi dei clan dal sistema politico», spiega Lo Voi. Dall'inchiesta è emerso, inoltre, che il ricorso al voto riguarda solo le cariche di capofamiglia e consigliere, per i ruoli minori la parola spetta al capofamiglia che designa i propri collaboratori a proprio giudizio insindacabile.

Le intercettazioni, da cui viene fuori anche il numero degli affiliati, 30 rispetto agli oltre 100 del passato, fanno luce anche sull'omicidio di Salvatore Sciacchitano, ucciso il 3 ottobre nel quartiere Guadagna. Insieme a lui fu ferito un amico, Antonino Arizzi. Ascoltando le conversazioni dei mafiosi viene fuori chiaramente che la vittima è stata punita per avere partecipato, insieme a Francesco Urso, all'agguato a Luigi Cona, vicino alla «famiglia».

Uno sgarbo, nato per contrasti sullo spaccio di droga nel quartiere, di cui fu informato subito il capo e che comportò, nel giro di poche ore, segno della forza anche militare della cosca, l'assassinio di Schiacchitano. I picciotti, però, limitarono la vendetta, ricambiata da Cona con champagne e un invito a pranzo, all'obiettivo meno importante, evitando di colpire Urso, nipote e figlio di boss di rango.

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