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«Sulla morte di Aldo Naro troppe complicità e silenzi»

Nelle intercettazioni, i parenti del minorenne reo confesso lo criticavano: «Lavori in un locale di sbirri» perché la discoteca era iscritta ad Addiopizzo

PALERMO. «Rischi la galera tu, no che te ne vai da Addiopizzo... Perché se è il caso Addiopizzo è quello che ha fatto arrestare pure a tuo padre». A parlare sono due parenti del minorenne finito sotto processo per l’omicidio di Aldo Naro, il medico di 25 anni, ucciso con un calcio all’interno della discoteca Goa lo scorso febbraio. Secondo le due persone intercettate, l’errore dell’imputato sarebbe stato quello di andare a lavorare in un’attività iscritta all’associazione antiracket (l’adesione è stata poi sospesa) perché «Addiopizzo è... come se questo è sbirro».

Ma lo giustifica l’altro «u picciriddu è piccolo». Ribatte l’altro: «Allora scusami, se un carabiniere ti dice “fammi arrestare a uno e ti do mille euro”, che ci dici sì? E per le cento euro mi vendo a quello? Perché è lo stesso fatto — insiste — perché per uno... allora il bisogno, sei figlio del malantrinu (il padre del giovane ha avuto problemi con la giustizia, ndr)? Mettiti a spacciare!».

Cosa che — come emerge dalle intercettazioni — il giovane avrebbe fatto. Ma si sarebbe anche giustificato sul fatto di lavorare in un locale affiliato ad Addiopizzo: «Mi ha detto lui — afferma uno dei suoi parenti — dice: “Perché se me lo diceva tu pensi che io ci andavo?”». Secondo i carabinieri, sarebbe stato uno dei titolari della discoteca a tenere in qualche modo nascota l’iscrizione.

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