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Giambruno, l'inchiesta nata dalla denuncia di un collega: 29 le persone coinvolte

PALERMO. L’inchiesta che ha portato al sequestro dei beni nei confronti di Paolo Giambruno, direttore del Dipartimento di prevenzione veterinario dell'Asp di Palermo, nonché presidente dell'Ordine dei medici veterinari, è nata dalla denuncia di un altro veterinario in servizio all’Asp 6.

Carlo Volante dirigente medico veterinario con funzioni di “igienista”, che si è sempre occupato di sicurezza alimentare si era scontrato con i metodi messi in campo dal suo capo Paolo Giambruno e nel 2010 aveva presentato un esposto alla Digos. Il veterinario era stato anche spostato di ufficio. Da indagini ed intercettazioni sarebbe emerso che Giambruno avrebbe consentito dei controlli di favore a diversi commercianti finiti nell’indagine tra questi Salvatore Cataldo, in carcere per mafia.

Complessivamente sono 29 le persone finite nell’inchiesta tra cui dirigenti dell’Asp,  imprenditori del settore alimentare, la cui attività investigativa è stata svolta dalla Digos della Questura di Palermo.

Tra le numerose società di capitale quella che si sarebbe dimostrata più redditizia sarebbe stata la Penta Engineering Immobiliare s.r.l., nel cui pacchetto societario figurava sin dalla sua costituzione il Salvatore Cataldo, attraverso la sua società edile operante sul territorio di Carini. Non è un caso che tutti gli affari nel settore della compravendita immobiliare, sarebbero stati condotti e conclusi nel territorio carinese dove il Cataldo esercitava il suo potere quale componente di spicco di quella famiglia mafiosa. I rapporti societari sarebbero continuati anche dopo quando Cataldo, nell’anno 2006, aveva ceduto le quote societarie della Penta Immobiliare al proprio figlio. Circostanza confermata dai numerosi assegni circolari rinvenuti e sequestrati in occasione delle perquisizioni, attraverso le quali è stato possibile accertare che Giambruno si sarebbe fatto garante nei confronti del socio carinese.

Secondo le indagini condotte dalla Digos e coordinate dal procuratore aggiunto Dino Petralia e dai pm Calogero Ferrara e Claudia Bevilacqua, ci sarebbero stati anche rapporti tra Paolo Giambruno e la famiglia mafiosa dei Pipitone. Tra i numerosi titoli di credito sequestrati nell’abitazione del dirigente spiccano, quelli emessi da una società di Carini, riconducibile alla famiglia mafiosa carinese, con la quale il dipendente pubblico avrebbe concluso un affare immobiliare e quelli riguardanti l’acquisto e la successiva vendita di uno stabilimento industriale che si trova nell’agglomerato industriale di Carini che veniva acquistato per 2.685.575 di euro e successivamente rivenduto a terzi per 3.250.000 di euro.

Anche in quest’ultimo caso la trattativa intrapresa da Salvatore Cataldo, uomo ritenuto della famiglia mafiosa di Carini arrestato nel 2012 per mafia. Giambruno è indagato per i reati di concussione, tentata e consumata, abuso d’ufficio, falso e truffa aggravata, commessi nell’esercizio delle sue funzioni. Tra gli episodi contestati emergerebbe, tra gli altri, quello concernente i controlli sanitari eseguiti dal Dipartimento Veterinario sulla qualità delle carni da destinare al consumo poiché, anche in questo delicato settore di intervento, sono state segnalate alla procura condotte illecite del direttore che sarebbero state realizzate, violando le leggi e i codici deontologici, pur di tutelare gli interessi di un allevatore senza scrupoli che avrebbe voluto commercializzare capi di bestiame infetti.

Carni comunque bloccate solo grazie al tempestivo intervento della Polizia Giudiziaria. I servizi tecnici di intercettazione telefonica avrebbero messo in evidenza come il funzionario avrebbe accolto le doglianze dell’allevatore e tentato di favorirlo con la compiacenza di un veterinario suo dipendente. Ulteriori sviluppi sulla vicenda hanno visto porre sotto sequestro, su disposizione dell’autorità giudiziaria, l’intero allevamento dell’imprenditore, constatandone, attraverso consulenza tecnica disposta dalla Procura di Palermo, la diffusa presenza di lesioni infette significative e microscopicamente evidenti su alcuni bovini che sarebbero stati destinati, senza l’intervento della Polizia, alla commercializzazione, al dettaglio. Altri casi riscontrati riguarderebbero false certificazioni rilasciate al fine di consentire ad una azienda di prodotti dolciari di Carini e ad una di prodotti ittici di Lampedusa di poter esportare i rispettivi prodotti all’estero.

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