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A Palermo serve aiuto: la calda estate del grande inverno

Nella città delle emergenze ordinarie i punti di crisi si alternano immutati e immutabili quanto le stagioni sul calendario

Nella città delle emergenze ordinarie, in cui la visione di sviluppo è chimera e l’ora-e-subito una necessità irreversibile come antidoto estremo al disastro, i punti di crisi si alternano immutati e immutabili quanto le stagioni sul calendario. Così, usciti dal Grande Inverno dei mille morti senza sepoltura e dei conti in odore di default e messo mano alle strade sgarrupate – tre meriti ascrivibili all'attuale amministrazione, dopo l'inedia di un lungo sonno – rieccoci piombati in un distopico flashback.

Sembra di essere tornati a quel buio scavalco fra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, quando sulle strade di Palermo ancora sporche del sangue dell’ultima guerra di mafia, i cumuli di spazzatura a ogni angolo di marciapiede e quegli orribili silos grigi per la distribuzione dell'acqua contaminavano ulteriormente il paesaggio e non poche coscienze.

Oggi non c'è più l’Amnu, non c'è più l’Amia, non si sa per quanto tempo ci sarà ancora la Rap, ma intanto i rifiuti sono tornati puntualmente a issarsi come fetidi geyser fuori controllo. Non è uno scenario nuovo, siamo al patologico perpetuarsi di un problema sempre uguale e di cause altrettanto ripetitive: pochi mezzi, poco personale, irrigidimenti sindacali, menefreghismo diffuso, inciviltà atavica, furbi e furbastri, evasori e profittatori. Il tutto mentre la differenziata fa sorridere nella sua utopica infruttuosità, Bellolampo fa paura nella sua continua dissennata crescita oltre ogni limite, logica e regola. E la Tari continuano a pagarla in pochi, finendo quindi per rincarare solo per quei pochi che la pagano. Di ricorrere ai privati manco se ne parla, salvo poi invocarli, pregarli - e pagarli a carissimo prezzo - quando c'è da spalare munnizza a tonnellate. Insomma, ci siamo ancora una volta dentro fino al collo, non se ne esce. Non da soli, almeno.

E rifuggiamo dall’abusata metafora dell’acqua alla gola, che non è proprio il caso, né il momento. Per anni abbiamo guardato con indolenza a quegli invasi sparsi qua e là per la provincia, ora un po’ più su, ora un po’ più giù. Per anni ci siamo raccontati la storiella del 40% di acqua che si perdeva lungo le reti colabrodo scavate sotto strade e campagne. Per anni ci siamo sollazzati coi progettoni dei dissalatori (campa cavallo...) e dissertato accademicamente sulla torbidità a ogni eccesso di pioggia oggi del Poma, domani dello Scanzano, dopodomani del Rosamarina. Nel frattempo l'evoluzione (involuzione) climatica andava avanti lenta e inesorabile. E adesso che la Siccità non ha solo prosciugato il Tevere nell'iperbole cinematografica del film di Paolo Virzì, ma è drammaticamente tornata a essere una realtà con cui fare i conti... siamo del tutto impreparati. E ci fingiamo spiazzati. Con un ex presidente della Regione e oggi ministro che addita anni di immobilismo (ah sì?), un attuale presidente della Regione che si barcamena fra ticket foraggio per i pastori disperati, cazziatoni agli enti idrici passivi e smentite sulla fuga dei turisti, un sindaco che col misurino cala la pressione in rete, stila mappe più o meno segrete con i tecnici dell'Amap, firma ordinanze impossibili (vietato innaffiare le piante, riempire le piscine, lavare le auto e bla bla) e assicura che comunque fino a dicembre siamo a posto. Dicembre. Cioè praticamente domani. E poi? Ce la prenderemo ancora solo con la pigrizia di Giove Pluvio?

Ecco perché Palermo ha bisogno d'aiuto. Da sola non ce la fa. Lo ha dimostrato negli anni. Non è neanche più il momento di limitarsi a certificare rese, definire competenze e additare colpe. I rifiuti salgono, l'acqua scende, le soluzioni latitano. Dobbiamo prepararci a un altro Grande Inverno già sotto il sole d'agosto o è il caso che, almeno per queste due piaghe, qualcun altro (dal prefetto a scalare) prenda la guida del castello ancestrale?

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