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Palermo, il questore sulla banda giovanile: «Con la violenza esprimono disagio sociale»

Il questore di Palermo, Leopoldo Laricchia (foto Fucarini)

«L’indagine appena conclusa a Palermo racconta lo spaccato della realtà di una città che come tante altre sta cominciando ad esprimere un disagio sociale da parte di immigrati di seconda o terza generazione....»: va subito al punto il questore Leopoldo Laricchia, che traccia una chiave di lettura oggettiva a conclusione dell’inchiesta che - è lecito immaginare - è solo una puntata delle diverse attività aperte dagli inquirenti dopo le diverse aggressioni avvenute nelle zone della movida. L'indagine ha portato a 12 arresti: sei giovani in carcere, uno ai domiciliari, altri cinque, minorenni, al carcere minorile oppure affidati a comunità.

Un fenomeno nuovo, è un particolare che salta subito agli occhi...

«Sì, un fenomeno ad esempio diverso da quanto registrato nel Napoletano dove in questo tipo di reati sono state coinvolte le realtà locali».

Chi sono i protagonisti di questi reati accaduti in città?

«Alcuni sono nati a Palermo. altri sono nati in paesi del nord Africa e sono arrivati qui da piccoli. C’è un mix di situazioni e condizioni di emarginazione, di famiglie di immigrati, di rabbia sociale, di consumo di sostanze stupefacenti. Poi un ulteriore elemento da non sottovalutare....».

A cosa si riferisce?

«Secondo me c’è un modello culturale che questi ragazzi assorbono, ed è quello di alcune serie televisive che sono diseducative e alimentano il desiderio di questi giovani di essere come i protagonisti di quelle serie televisive. È uno spaccato che viene fuori in modo chiaro. E lo rendono evidente sui loro profili social dove rappresentano le loro bravate, dove sostengono ad esempio che devono controllare alcune zone della città come motivo di rivalsa sugli indigeni».

Si sentono sicuri perché?

«Credono di avere l’impunità che gli deriva dalla loro minore età. I coinvolti nell’ultima indagine sono da poco maggiorenni. Come tutti i giovani che vengono alimentati dai cattivi maestri fanno propri i messaggi dei media , dei rapper che hanno girato video per incitare alla violenza, alla contrapposizione con la polizia o i carabinieri, sono portatori di cultura dell’illegalità, una sotto cultura che fa breccia. Ecco, confidano sull’impunità che credono gli derivi dall’essere giovani, invincibili. Pensano che riusciranno a non farsi prendere....».

Tra i cittadini c’è un certo senso di insicurezza, però...

«I controlli ci sono. Faccio un esempio: è da più di un mese che stiamo seguendo a distanza questo gruppo di giovani, da un mese non hanno commesso più niente. Tutti i fine settimana una quindicina di uomini delle forze dell’ordine sono utilizzati per servizi mirati a circoscrivere la zona dove si muovevano, a individuare i loro spostamenti, sono stati foto segnalati. E agiamo anche su un altro fronte: chi crea le condizioni per cui dà da bere alcolici a minorenni, ai giovanissimi, deve pagare».

E il cittadino che sa di episodi del genere che atteggiamento deve avere?

«Può vedere che ogni episodio di violenza viene prontamente risolto e viene assicurato alla giustizia chi lo commette. Il resto appartiene ad una funzione sociale. Le forze dell’ordine non sono chiamate ad impedire che vengano concepiti progetti delinquenziali, certo se casualmente riescono ad intercettarli li impediscono. Una volta commessi questi reati le forze dell’ordine hanno il compito di reprimerli. Impedire un reato è un problema sociale. Certo, noi collaboriamo anche su questo versante, ma non siamo un’agenzia educativa, siamo un’agenzia di pubblica sicurezza. L’educazione alla legalità spetta alle famiglie, alla scuola, alla politica, alle associazioni. E noi siamo pronti a fare la nostra parte».

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