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L'omelia di Lorefice per Antonella: "Ascoltiamo la fatica, il disagio dei giovani, dei più piccoli"

Pubblichiamo integralmente l'omelia dell'arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, in occasione del funerale nella chiesa della Magione di Palermo di Antonella Sicomoro, la bambina di 10 anni del quartiere Kalsa morta soffocata per un tragico gioco su TikTok.

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«Care Sorelle, Cari Fratelli, Siamo attoniti. Accanto al corpo senza vita di Antonella. La vita le è stata rubata. Una bambina di dieci anni. Nello strazio del papà, della mamma, delle sorelline. In uno strazio che è il nostro, davanti a questo vuoto tragico. Sembra impossibile. Sembra un sogno dal quale abbiamo fretta di svegliarci. Ma non è così. Antonella è qui, con il suo corpo consegnato troppo presto, troppo prematuramente a Colui che è il Padre di tutti. E quanta voglia abbiamo di gridare a Lui, che è Padre: “Perché?”.

Antonella era così piccola, così indifesa. Cercava forse degli amici per cominciare il suo viaggio, il viaggio di ogni bambino, di ogni bambina, dalla casa al mondo. Amici, amiche, per fare questo passaggio così difficile e pieno di fascino. Ha trovato amici sprovveduti e, forse – ipotesi crudele –, anche qualche adulto pronto a strumentalizzare questo desiderio. Non possiamo non dircelo stamattina e lo dico anzitutto a me stesso: la morte di Antonella è ‒ lo diventi! ‒ per noi tutti un monito e un’implorazione. Lo sappiamo. Questa pandemia ha reso i nostri ragazzi più fragili, più impauriti.

Vogliono diventare adulti, vogliono crescere da soli senza genitori, per sentirsi grandi. E i genitori, a volte, si sentono a disagio, perché i figli non vogliono più essere bambini, vogliono prendere il volo, sganciarsi, malgrado la fragilità, malgrado la paura. In questi giorni della pandemia la solitudine, la depressione, lo smarrimento sembrano travolgerci. Siamo chiamati ad ascoltare la fatica, il disagio dei giovani, dei più piccoli. Facciamolo insieme. Dobbiamo affiancare e sostenere i genitori per facilitare il passaggio, per aprire la via, per allontanare l’angoscia. Siamo di fronte ad un’emergenza. Il nostro futuro, la nostra terra hanno bisogno di ragazzi, di giovani buoni, belli come Antonella.

Ma nessuno li deve illudere, confondere, sedurre. Per questo leviamo insieme la nostra voce, ci appelliamo e imploriamo. Che la scuola sia lo spazio vitale di giovani e di adulti capaci di accompagnare i ragazzi nel mondo! Che gli amici siano veri, siano compagni di strada e di avventura, con quella letizia e quella forza che vengono dal corpo che scopre e che cresce nel mondo! Che la Chiesa – la comunità dei discepoli del Signore Gesù ‒ diventi colei che si fa carico di questa umanità ferita, facilitando l’incontro con il Cristo, l’Amico che fa diventare adulti, che apre le strade della vera maturità e dell’amore!

E posso dirlo, oggi: la Chiesa lo faccia imparando da voi, cara Chiara, caro Angelo, dalla vostra fede dentro questa notte oscura. Dalla vostra apertura alla vita. Dalla generosità con cui avete donato gli organi di Antonella ‒ come avrebbe fatto lei stessa ‒ nella semplicità del suo cuore. Dalla fiducia con cui state per accogliere un’altra sorellina di Antonella, di Jasmine, di Sofia. Voi credete e avete creduto nella forza dell’amore, nella bellezza del donare. Perché viene la morte, ma l’amore non finisce. Viene la morte, ma la vita non è sconfitta per sempre. Certo, la lacerazione che Antonella sia prematuramente nelle braccia del Padre – come noi ci annunciamo oggi in virtù del dono prezioso della fede pasquale – e non nelle vostre braccia, come dovrebbe ancora essere, è indelebile.

Ma lo è altrettanto la forza dell’amore, il desiderio e il dolore della vita che consegnate e che consegniamo oggi a Dio. Gesù che gridò verso Dio e levò la sua supplica al Padre «con forti grida e lacrime» per essere salvato dalla morte – come dice la Lettera agli Ebrei (5,7) – può essere nostro e vostro compagno, nostro e vostro fratello. A Lui ci volgiamo perché abbiamo bisogno di essere guariti, abbiamo bisogno di vita. E Lui è sorgente di vita e di guarigione.

È questo il senso del Vangelo che abbiamo ascoltato. Giàiro e la donna che soffriva di perdite di sangue si fidano di Gesù, vanno a lui. Sono interiormente condotti a dare fiducia a Gesù. Gesù condivide il cammino, la strada, la sofferenza. Ha una energia di prossimità, di coinvolgimento, di compassione, che è contemporaneamente vigore che raggiunge, guarisce e dà vita. Tutti possono andate a Gesù. Non ci sono barriere. Di nessun genere, né di condizione sociale o di religione, né di età o di cultura. Neanche il peccato conosciuto dalla nostra coscienza. Sulla strada del Signore possono incamminarsi tutti. Nessuno può considerarsi o essere considerato un abusivo, un escluso, un non degno. Non occorre nessun lasciapassare.

Anzi, forse uno c’è: consegnargli senza paura la nostra vita, anche le nostre ferite e le nostre attese, con fiducia; affidarsi a lui. Fidarsi. Gesù incontra ciascuno, ci scova in mezzo alla folla, ci viene a trovare a casa. Ha sguardo e parole che raggiungono il cuore e lo guariscono, parole che risollevano chi è prostrato, potenza di vita che rialza dalla morte. Gesù fa suo il pianto di chi incontra, ha compassione, soffre con gli altri, ma non sopporta che debbano prevalere il lutto e il lamento. Lui è il Signore, il vero, l’unico Signore che non illude, che non strumentalizza, in lui non c’è menzogna. Ma solo vero amore, desiderio di dare vita vera e felicità duratura. Per questo la morte – come abbiamo ascoltato – davanti a lui «è come un sonno: non c’è motivo di disperarsi. Un’altra è la morte di cui avere paura: quella del cuore indurito dal male! Di quella sì, dobbiamo avere paura!», ci ricorda Papa Francesco.

Colpisce che l’evangelista Marco annoti: «Presa la mano della bambina» (Mc 5,41). Antonella carissima, affidati alla mano di Gesù, di lui ti puoi fidare. Prendi parte alla sua Gloria, egli ‒ il Crocifisso risorto ‒ ti rende partecipe della sua vittoria sulla morte e ti ricolma di Vita eterna. Egli, seppur con «forti grida e lacrime» (Eb 5,7), si è sottomesso liberamente e per amore ad una morte prematura e ingiusta, e per questo è divenuto «causa di salvezza eterna per tutti coloro» (Eb 5,9) che afferrano la sua mano e si affidano a lui.

Di lui noi tutti ci possiamo fidare. Non lasciamo la sua mano. Che il suo mantello continui a sfiorarci lungo le nostre impervie strade. Forse noi adulti siamo dissanguati, snervati, depistati, dinanzi all’arduo compito della trasmissione della vita, della felicità, dell’amore. A maggior ragione in questo tempo di grande prova e disorientamento. Ma oggi il Vangelo ci fa osare. Anche noi con fiducia, come la donna che soffriva di perdite di sangue, andiamo da Gesù. Gesù si lascia rubare questa energia. Non la dobbiamo pagare, non ci estorce nulla. Non ci illude. Lui è qui a nostra disposizione. Gratuitamente. Ci basta toccare il lembo del suo mantello accogliente – toccare Gesù: questo è la fede, attingere energia salvifica da lui – per essere guariti e rafforzati, così da riscrivere questo nostro tempo come spazio di vita, di bene, di amore, di cura, di gratuità, di gioie ordinarie.

Capaci di individuare i beni essenziali da trasmettere ai nostri figli. Per aprire dinanzi ai nostri figli e alle nuove generazioni cammini di futuro e di speranza: per Jasmine, per Sofia, per l’altra vita che mamma Chiara porta in grembo e attende insieme a papà Angelo, per i compagni di classe e di catechesi di Antonella. Questa è la sfida, l’unica sfida, che noi adulti dobbiamo abbracciare. Lo dobbiamo ad Antonella e ai nostri figli! La sfida dell’Amore, del Bene. Vi giunga per questo il mio grazie, il mio abbraccio e la mia povera, affettuosa benedizione».

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