PALERMO. Il tram chiamato memoria è una cartolina ingiallita dal tempo e dal disincanto, una vettura sbilenca ma coriacea che attraversa l’arco di Porta Nuova verso corso Calatafimi, un vagone verde con una striscia bianca che arranca sulle strade popolate da carrozze, animali, pescivendoli, e si ferma, scendono i passeggeri, sboccia il teatro in strada, tutti a vociare e a dare una mano per rimettere il moto la circolazione.
Perché il tram di oggi - con le sue quattro linee, i suoi ambiziosi progetti di sviluppo e la sua storia infinita, scritta con l’inchiostro sbavato dei ritardi, delle polemiche, di un’amara, palermitanissima, concionante incredulità - è un po’ un déjà-vu, come svegliarsi da un sonno lungo 70 anni e ritrovarsi in una città immobile eppure profondamente, geneticamente cambiata, vecchia e nuova, antica e contemporanea, «felice» e avvilita. Testo di Federica Certa
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