Condannati a poco più di 46 anni di carcere i componenti di una banda dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti sgominata dai carabinieri di Carini nella retata del 17 novembre di due anni fa. Lo ha stabilito la sentenza emessa dal giudice Simone Alecci nei confronti dei sei imputati, tutti palermitani, che hanno chiesto e ottenuto di essere processati con l’abbreviato, rito che prevede uno sconto della pena.
Le condanne più pesanti sono state comminate a Seam D’Angelo, che ha avuto 14 anni e 4 mesi, e Luigi Cracchiolo (13 anni e 8 mesi), ritenuti gli organizzatori dell’attività illecita, per i quali è stata confermata l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al traffico e allo spaccio di droga. Sette anni e due mesi, invece, sono stati inflitti ad Antonio Lo Franco, per il quale è rimasto in piedi il reato associativo. Emmanuel Spalma è stato condannato a 6 anni e 10 mesi; una pena inferiore, 4 anni, è stata disposta per Emanuele D’Angelo (assolto dall’accusa di associazione), mentre un anno e otto mesi sono stati comminati a Claudio Fanara. Per questi ultimi tre sono stati contestati solo alcuni episodio di spaccio. Gli imputati sono stati difesi dagli avvocati Corrado Sinatra, Elena Gallo, Stefania Maccarone e Riccardo Bellotta. I legali hanno preannunciato ricorso in Appello. Nel corso del blitz era stato fermato anche Vincenzo Taurone, originario di Salerno, che ha patteggiato la pena in un precedente procedimento.
Dalle indagini condotte dai militari dell’Arma era emerso che il gruppo aveva messo in piedi una rete di spaccio «mobile»: ad alcuni fidatissimi pusher, attivi in città e in provincia, venivano affidate piccole quantità di droga da trasportare, così da potersene disfare facilmente se fossero incappati in controlli delle forze dell’ordine. Inoltre avrebbero utilizzato tra di loro un linguaggio in codice per alzare il livello di sicurezza. Ma quelle precauzioni non avevano evitato il blitz su ordine del gip Lirio Conti su richiesta della Direzione distrettuale antimafia. Quattro erano fniti in cella e tra ai domiciliari.
I carabinieri, nel corso delle indagini, avevano individuato in Isola delle Femmine, Capaci e Carini le piazze scelte per smerciare cocaina, hashish e marijuana. Gli investigatori erano anche riusciti a stilare una mappa dei posti in cui si sarebbe stata svolta l’attività di spaccio itinerante. Dai bar, ai ristoranti ai supermercati e perfino il negozio di un cinese; ma anche centri scommesse, distributori di carburanti o altri luoghi che chiamavano fontanella piccola, bucalettere, saracinesca, villa o «curva».
Inoltre sarebbero stati accertati oltre mille episodi di spaccio tra la fine del 2018 e la fine del 2019. L’indagine, coordinata dal pool diretto dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca, aveva preso le mosse dall’arresto di Luigi Cracchiolo, fermato il primo febbraio del 2018 con addosso 34 dosi di cocaina. Le indagini successive, concluse a novembre dell’anno seguente, svelarono attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali la presenza di un’organizzazione che poteva contare su una fitta rete di spacciatori. Secondo l’accusa a dirigere le operazioni ci sarebbe stato Seam D’Angelo, ritenuto dagli investigatori vicino alla famiglia di Resuttana. Al suo fianco, in base alla ricostruzione degli investigatori, ci sarebbe stato Luigi Cracchiolo, che si sarebbe occupato anche di recuperare i soldi dai clienti insolventi. Dall’inchiesta era emerso che gli spacciatori, chiamati convenzionalmente «nipoti», avrebbero incontrato i clienti nei posti concordati per telefono, portando piccoli quantitativi alla volta per non rischiare di finire nei guai. Una delle precauzioni prese per tentare di mascherare l’attività illecita sarebbe stata quella di fare uso di parole in codice. Per i carabinieri, infatti, gli appartenenti al gruppo avrebbero utilizzato i terminie «cugina» e «amica» per indicare la marijuana, «cugino» e «amico» quando si riferivano all’hashish. L’«aperitivo», invece, sarebbe stata la cocaina. Per le tariffe, in base a quanto scritto nell’ordinanza, sarebbero state scelte le indicazioni dell’orologio: per 15 minuti si intendevano 15 euro, quindi mezz’ora equivaleva a 30 euro.
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