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Giro di droga fra lo Zen di Palermo e Carini, otto condannati

Ci sono il ras della droga dello Zen, il netturbino che spacciava con l’autocompattatore e il cultore di tik tok che rivolgeva parole poco gentili (è un eufemismo) agli investigatori. Sono tre degli otto imputati condannati per un giro di droga tra lo Zen 2 e Carini scoperto lo scorso anno dopo mesi di intercettazioni. Ieri la sentenza emessa con il rito abbreviato dal gup Clelia Maltese. Le condanne sono dunque ridotte di un terzo per il rito, anche se le richieste dell’accusa erano comunque più alte e una serie di aggravanti sono cadute.

Il personaggio di maggior spessore era Khemais Lausgi, detto «il turco» (difeso dagli avvocati Riccardo Bellotta e Raffaele Bonsignore). Ha avuto 5 anni e 4 mesi, era lui a gestire gli affari e il suo ruolo in passato è emerso anche per un sequestro patrimoniale. Pur essendo semi-disoccupato, aveva una bella villa con piscina. Le altre condanne riguardano Salvatore Lo Franco, 3 anni, Antonio Lo Franco, 5 anni e 10 mesi, Francesco Alamia, 5 anni e 8 mesi, l’ex dipendente Rap Maurizio Sciortino, 4 anni e 2 mesi, Antonino Giuffrè, 3 anni e 4 mesi (avvocato Giuseppe Raimondi), Antonino Velardi, 2 anni e 8 mesi (assistito dall’avvocato Giovanni Marchese, erano stati chiesti 10 anni), e infine Francesco Gelfo, 1 anno e 6 mesi, che dal sito social si sarebbe fatto beffe dei finanzieri. Assolto Maurizio Di Stefano, difeso dall’avvocato Elena Gallo.

Un grosso affare per una organizzazione che, attraverso la sua rete capillare, riusciva a piazzare anche cento dosi al giorno (cinque chili al mese) e a ricavare fino a un milione e mezzo di euro l’anno. Sciortino, 51 anni, venne intercettato dai finanzieri mentre trasportava le dosi a domicilio durante le ore di lavoro con il mezzo aziendale adibito alla raccolta dei rifiuti, e per questo è stato licenziato dalla Rap, e di recente aveva pure incassato il reddito di cittadinanza.

Secondo le carte dell’inchiesta, il gruppo dei Lo Franco con Lausgi aveva solo rapporti commerciali. Uno vendeva, gli altri compravano e poi ognuno per la propria strada. Rapporti che saltarono fuori nel corso di una delle tante intercettazioni. Antonio Lo Franco ha appena acquistato allo Zen 15 chili di hashish e li ha nascosti a casa della nonna, ma mentre è ad a Isola delle Femmine per offrire un lavoro da pusher, retribuito 600 euro al mese, si tradisce e fa un’involontaria confessione: «Mi tieni il fumo che ho appena lasciato da mia nonna». L’indomani la polizia fa irruzione a casa dell’anziana e trova la droga. Mentre la perquisizione è in corso Salvatore Lo Franco telefona al figlio e gli chiede: «Senti a me, hai qualcosa dalla nonna?». Ricevuta risposta affermativa da Antoniom, sbotta: «Minchia, attummuliasti».

Gelfo invece compariva nei video su TikTok con magliette di marca, moto Bmw e auto costose in bella vista. Poco dopo essere stato coinvolto nella retata, lancia un messaggio di sfida per aver evitato il carcere: «Me l’avete su.... Sono a casa con gli arresti domiciliari». Gelfo viene indicato come uno dei grossisti dell’hashish che dallo Zen 2 avrebbe rifornito l’organizzazione a Carini, dove avrebbe avuto Francesco Alamia come punto di riferimento. Se l’è cavata con una condanna piuttosto contenuta, ma dopo quelle parole il giudice dai domiciliari lo spedì in carcere.

 

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