Il Professore. I suoi collaboratori lo chiamano così. Attorno a lui c’è sempre un’aura di rispetto che costeggia il timore. Nessuno gli dà del tu, pochi osano contraddirlo. È capace di tornare indietro su una decisione, ma lo fa raramente «visto che sceglie una soluzione dopo avere bene ponderato le cose, per cui fargli cambiare idea diventa un’impresa perché sull’argomento devi essere più preparato di lui», spiegano dallo staff. I rapporti sono cordiali, ma sempre con un velo di separazione, di distanza. La erre arrotondata, il sigaro in bocca, la cultura accademica, vasta come la stazza che si porta appresso, gli incarichi che ha collezionato, gli conferiscono l’allure del personaggio autorevole e ossequiato. Fin dai tempi dell’Università.
Eccolo, Roberto Lagalla, 67 anni, pugliese di nascita (Bari, per l’esattezza) perché il padre era ingegnere dei Vigili del Fuoco, ma trasferitosi in città sin dal 1960. Naturalmente trasversale, parla con tutti, ha rapporti con tutti, conosce tutti. Tutti quelli che contano, cioè. I suoi detrattori, infatti, lo accusano di essere uno snob: «Fa la parte del piacione, ma lui è un elitario». Narrazione che lui respinge. Portando vanto soprattutto del fatto di ritenersi un self made man, seppure sia cresciuto in quel milieu borghese e agiato che, di fatto, ha determinato nel corso degli anni le scelte della città e mandava i suoi figli dai gesuiti, al Gonzaga. «La mia vita me la sono costruita da solo – dice -. Mantengo con i miei allievi accademici sul rispetto e sulla fiducia perché loro vedevano che io arrivavo in istituto per primo e andavo via per ultimo, dopo avere lavorato anche sedici ore in un giorno». Come a dire, sudore e fatica al mio indirizzo, niente scorciatoie.
Chi gli sta accanto lo dipinge come uno stacanovista con esasperate punte di perfezionismo. Gli piacciono i cantautori italiani, «riesco ancora a emozionarmi con Roberto Vecchioni», e va in brodo di giuggiole per i suoi due nipotini Roberto e Riccardo (3 e 1 anno): «Sono la cosa più preziosa che ho, figurarsi se potrei mai lasciare loro in eredità comportamenti del nonno meno che trasparenti».
Nato in aprile, sotto il segno dell’Ariete, il candidato a sindaco del centrodestra ha quattro figli Massimo, Luca, Ludovica e Lorenzo: il primo ingegnere, il secondo pediatra (dalla prima moglie), la terza studia giurisprudenza e il quarto economia (con l’attuale consorte, Maria Laura Ferro). Preferisce mangiare salato, ma non resiste di fronte alle «sfogline» fresche. Una vera passione che non si soddisfa appieno fino a quando il vassoio non si svuota. Amore totale.
La sua scienza, tuttavia, non lo protegge dalla scaramanzia. Se un gatto nero taglia la strada si torna indietro, ne sanno qualcosa gli autisti delle auto di servizio della Regione. Niente cose da fare importanti di venerdì o di 17. E stare alla larga dalle scale. Vizi vezzi e virtù del magnifico che ha ceduto alla politica «perché – sussurrano i maligni – lui ama il potere».
Giudica Giuseppe Berto, quello de Il male oscuro, uno dei più grandi scrittori italiani, benché negletto da lungo tempo. In generale, però, con l’amato sigaro e un bicchiere di ruhm agricole preferisce immergersi in libri di narrazione storica e in qualche biografia «perché – dice - si impara molto dai maggiori del passato». Riconosce, però, uno speciale primato a Il Gattopardo per comprendere la Sicilia e forse l’Italia intera, romanzo che «andrebbe riletto ogni due-giorni», assicura.
E con Giuseppe Tomasi di Lampedusa ha una certa consonanza, soprattutto a teorizzare il rapporto stretto fra alta temperatura e il carattere delle persone. «Questo clima che ci infligge sei mesi di febbre a quaranta gradi», dice il principe di Salina al piemontese Chevalley. E sul «clima crudele» di queste latitudini il Professore è d’accordo, soprattutto perché soffre molto il caldo. Al punto che i collaboratori, in estate, si spostano sempre armati di foulard e maglioncini visto che lui vuole l’aria condizionata sparata al massimo ovunque, dalla macchina allo studio. «Ormai fissiamo la temperatura al clima di San Candido, in Alto Adige, deve trascorre le vacanze», dice con rassegnata ironia uno dei suoi attaché.
Si laurea a pieni voti in medicina a metà degli anni Settanta. Sceglie di specializzarsi in Radiologia: «La reputo una delle discipline più complete – spiega – perché comprende al suo interno tante cose: la tecnologia, la clinica medica, la fisica, la fisica delle radiazioni, l’informatica. Il radiologo è un medico completo perché transdisciplinare».
Fra i maestri della sua professione accademica di radiologo annovera, ad esempio, Adelfio Elio Cardinale, che Lagalla ha sostituito poi alla guida dell’istituto universitario.
«In politica – rievoca – riconosco le lezioni di padre Ennio Pintacuda e di padre Bartolomeo Sorge». Ma Pintacuda è quello del «sospetto anticamera della verità»; pericolosissimo principio nelle cui maglie l’ex rettore è finito per la storia di Cuffaro e Dell’Utri e anche per il cognome della moglie. «Speculazioni, solo dannate speculazioni – dice -. Infatti su questo concetto con Pintacuda non siamo mai stati d’accordo, infatti, gli sono grato però perché mi ha insegnato l’analisi e la metodologia politica». Fra qualche giorno si saprà se la lezione gli è veramente servita.
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