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Miceli, cresciuto a pane e politica: «Sono sempre stato un tipo rock»

Filiforme e dinoccolato, quand'era ragazzino metteva l'asticella del salto con l'alto a un metro e 82 centimetri e la superava. «Sono abituato alle sfide – sorride – e a vincerle». Oggi, a 70 anni, sta tentando di aggiudicarsi la competizione che lo porterebbe alla guida di Palazzo delle Aquile. Franco Miceli, architetto, una vita in politica sebbene negli ultimi vent'anni fuori dai ruoli attivi, è posato, pacato, riflessivo. «Carbura lentamente», raccontano i suoi amici «ma poi va come un motore diesel». In effetti non si ferma un secondo, non si perde un appuntamento, non trascura le passeggiate nei quartieri.
In fondo lui è un palermitano di scoglio, di quelli che pur stando lontano dalla città la agognano, la desiderano, ci tornano. «Vero, io amo Palermo. Non l'ho avvertita come una gabbia da cui scappare, neppure da ragazzo quando si ha l'urgenza della vita e quella di conoscere il mondo. Semmai, per me, Palermo è sempre stato un luogo da migliorare».
Parte da via Archimede, al Borgo Vecchio, dove nasce, primogenito di tre fratelli (Emilio e Mario). Mamma casalinga, padre leggendario operaio-sindacalista dei Cantieri navali sopravvissuto due giorni in mare nella Seconda Guerra. Scuole elementari al La Masa, poi la famiglia si sposta in via Sciuti, ai tempi era periferia e andrà al Tomaselli. Le medie al Pecoraro, il liceo scientifico al Galileo Galilei. A casa si mangia pane e politica. Giuseppe, il padre, «uno che sfidava la mafia dei Cantieri, ma non amava i lavativi» è di tempra antica. Quando dopo la lunga militanza sindacale diventa parlamentare regionale del Pci la moglie finalmente scorge tempi più rosei e floridi. «Ora possiamo comprarci il frigorifero», gli dice. Ma lui la gela: «Nemmeno per idea, gli operai penserebbero che mi sono rassegnato agli agi». Rievocando l'episodio Franco Miceli serra tra i denti l’amato sigaro Toscano un po' si intenerisce: «Mio padre era così. Era un operaio di altissima capacità, era nelle condizioni di riparare qualunque cosa, preciso e scrupoloso ma non indietreggiava di fronte alle ingiustizie. Mi è stato di ispirazione nella vita e in politica. Qualcuno ha detto che mi voterà non perché conosce me ma perché ha conosciuto mio padre». Di quella semplicità popolare gli sono rimasti i gusti. Messo davanti alla scelta fra un piatto di spaghetti aglio, olio e peperoncino e la ricetta di uno chef stellato risponde senza esitazioni: «Aglio e olio tutta la vita».
Lo spilungone cresce fra occupazioni della scuola, manifestazioni e assemblee non autorizzate. Ascolta cantautori italiani. Ma gli anni della sua giovinezza hanno come colonna sonora Stepping Stone e Foxy Lady di Jimi Hendrix, le sonorità dei Led Zeppelin e dei Rolling Stones. «Sono stato sempre un tipo rock», ammicca rievocando le giornate in cui nel complessino messo in piedi imbracciava la chitarra elettrica. Per le parole preziose si rivolge ai classici della letteratura russa «soprattutto Tolstoj e Dostoevskj, da ragazzo leggevo moltissimo».
Si laurea in Architettura, siamo alla fine dei Settanta col massimo dei voti e la lode. «Anni mitici, a quei tempi qui in città insegnavano mostri sacri come Vittorio Gregotti, Gino Pollini, Leonardo Benevolo e Alberto Samonà. Era docenti cacciati dalle altre facoltà italiane perché troppo innovatori». Ha lavorato con Sandro Anselmi, scuola romana: «Disegnava da dio, davvero geniale». Ma erano anche anni in cui la mafia imperava e prosperava, fette della città costeggiavano la disperazione: «Palermo non è più così, per fortuna».
Conosce Clelia Burlon, veneta, la sposa, Con lei ha due figli Fosca (architetto) e Giuseppe (medico). Ha il rimpianto «di non avere intercettato alcune fasi della loro crescita». E con le due nipotine ora tende a essere presente più che può. All’alba degli anni Novanta il suo impegno diretto lo porta a essere l’ultimo segretario provinciale del Partito comunista. Quindi, assessore nella giunta di Leoluca Orlando e poi il lungo addio alla politica. Si occupa del suo Ordine professionale, scalandone tutti i gradini. Oggi è presidente nazionale degli architetti. Ma il suo «progetto» più impegnativo e desiderato è quello di entrare da sindaco a Palazzo delle Aquile.

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